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 2021  novembre 06 Sabato calendario

Rileggere von Salomon


Combattente, scrittore e sceneggiatore, Ernst von Salomon fu uomo dalle molte vite. Era nato a Kiel nel 1902 da un padre funzionario di polizia, ma di antica famiglia tedesca, e da una madre originaria di Pietroburgo. Fin da ragazzino i genitori lo indirizzarono alla carriera militare: a dieci anni era già allievo della Scuola preparatoria dei cadetti di Karlsruhe, poi passò a quella più prestigiosa di Berlino-Lichterfelde. Ne venne fuori un nazionalista sviscerato, prussiano dalla testa ai piedi, pronto a lanciarsi contro gli spartachisti e i cortei operai e ad aderire a molti corpi franchi combattendo contro l’armata rossa nelle regioni baltiche o in Alta Slesia per sottrarla al controllo della Polonia. Eventi che egli non tarderà a sintetizzare nel romanzo I proscritti, che l’editore Rowohlt pubblicò nel 1930. Era nato un romanziere di successo, protagonista di eventi sanguinosi che segnarono il primo dopoguerra, e interprete di una generazione insofferente del capitalismo e dei valori borghesi, impaziente di riaffermare la grandezza della Germania umiliata dalla pace di Versailles. Lo stesso che aveva scontato dal 1922 cinque anni di carcere per aver partecipato all’assassinio del ministro degli esteri della Repubblica di Weimar Walther Rathenau. Due estremi insolubili che von Salomon col tempo seppe utilizzare, a più riprese, per il racconto della propria vita come testimonianza di un’intera epoca dominata e sconvolta da drammatici eventi.E quando alla fine della guerra gli alleati imposero a lui come a tante altre personalità più o meno compromesse col Terzo Reich – a cui per altro egli non aveva aderito – di rispondere a un pedante formulario sul passato nazista, egli colse al balzo l’occasione per trasformare quell’inchiesta in un singolare romanzo, Der Fragebogen (Il questionario) uscito nel 1951 e accolto con entusiasmo dal pubblico. Divenne un bestseller che ridicolizzava con seriosa precisione le bizzarre domande dei vincitori, come quando alla richiesta del proprio nome lo scrittore risponde con un curioso e divertente testo su re Salomone, o si lancia in una descrizione storica e geografica di Kiel, città natale, per poi disperdersi in fantasiosi dettagli famigliari. Mentre al quesito sul suo peso dichiara con fermezza: oscillante. Ma in fondo grazie all’ironia egli trova la giusta distanza per elaborare il lutto di un paese annichilito, legittimando quella comunità di intellettuali, artisti o funzionari, che non abbandonò la Germania pur non condividendo il fanatismo e gli obiettivi nazisti.Il questionario, uscito in Italia già nel 1954 con il titolo Io resto prussiano, viene ora proposto nella versione di Pietro Gerbore dalle Edizioni Settecolori con un’ottima prefazione di Marino Freschi. È un viaggio singolare con un protagonista che osserva se stesso attraverso l’intero flusso di un’epoca e sogna la «rivoluzione nazionale» che doveva liberare il paese nel primo dopoguerra dalla «politica dell’adempimento» vagheggiata, fra gli altri, da Rathenau, che minacciava di abbandonare la Germania alle potenze occidentali. Non teme il carcere, anzi lo considera un campo di battaglia e affronta la minaccia del vuoto «con una propria costruzione d’anima e di spirito». Ne approfitta per leggere senza sosta un po’ di tutto: da Dickens a Jean Paul, da Stifter a Dostojevskij. Purtroppo le buone letture non servirono ad avvicinarlo a un’idea di democrazia, parola che usava di malavoglia non sapendo in realtà cosa fosse. Se mai a maturare la sua vocazione letteraria stimolata da un editore come Rowohlt, un uomo gigantesco, che lo accolse dicendo: «Entri, maestro!». Non se lo fece dire due volte, anche se il contratto per il suo libro lo firmò nel carcere di Moabit perché sospettato ingiustamente d’aver messo la bomba al Reichstag. Finì per frequentare quell’editore che lo definiva un «famigerato lanciatore di bombe», leggere manoscritti, partecipare a serate degli autori e condividere esperienze con personaggi lontani anni luce da lui, come Franz Hessel, l’amico di Benjamin, il cantore di Parigi e Berlino. Ma, agli antipodi, anche uno scrittore come Ernst Jünger, che considerava un guerriero dalla testa ai piedi, capace di sollevarsi sopra il convulso formicolio del mondo.Conobbe anche l’avventurosa Martha Dodd, figlia dell’ambasciatore americano, che negli anni berlinesi frequentava ufficiali e gerarchi nazisti, e l’amato Thomas Wolfe che, specie di notte, sembrava cercasse «d’ingoiare Berlino come l’America». Diversamente da von Salomon che guarda la metropoli con diffidenza: capitale di una modernità scintillante e ricca, un mondo di apparenze che lui vorrebbe scardinare. Ci pensò Adolf Hitler, che von Salomon incontrò una sola volta a casa del capitano Ehrhardt, capo di formazioni terroristiche di destra, che considerava il futuro Führer un pazzo. Certo sapeva parlare alle folle, ma era un ostacolo per i progetti del movimento nazionale.Tra salotti, politica e gruppi eversivi von Salomon riassume in sé tutte le sfumature e contraddizioni di un clima sociale in costante ebollizione. Vede bruciare il Reichstag, nel febbraio del 1933 e anni dopo, nella Notte dei cristalli, si chiede: «Perché non ci mettiamo con le braccia aperte davanti alle sinagoghe che bruciano e non protestiamo e non accusiamo?(..) Noi in verità siamo già morti. Noi non possiamo più vivere fuori di noi». Strano destino il suo, fagocitato fin dalla giovinezza da una vocazione anarchica e insurrezionale e da un’identità tedesca indifferente ai traumi della storia. Con un fratello comunista e una moglie ebrea, che grazie a lui poté sopravvivere, un’ampia produzione letteraria e un’attività di sceneggiatore che lo mise in contatto a Babelsberg, la Hollywood tedesca, con protagonisti del cinema e perfino con un’organizzazione antinazista, l’«Orchestra rossa». Tuttavia fu internato con la moglie dalle forze americane in diversi campi di prigionia, dove riuscì a organizzare letture e spettacoli teatrali, fino al settembre del 1946, quando si ritenne completato il suo processo di denazificazione. Allora fu la scrittura, ancora una volta, a prendere il sopravvento: il racconto di una vita che si spense nell’agosto del 1972, tra luci e ombre, ironia e dramma, diede forse per la prima volta a Ernst von Salomon, la consapevolezza di una vera identità tra i frammenti del tempo