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 2021  novembre 06 Sabato calendario

Rileggere Frassinetti


«Ministeriali si nasce, uomini si diventa... »!Questa massima, paradossale ma anche di assoluta serietà, la incontrate in Misteri dei ministeridi Augusto Frassineti (1911, Faenza – 1985, Roma). Si comincia la lettura come si accede a un ministero – labirintico, franante sui suoi allegati (il libro, a partire dal 1952, è cresciuto su se stesso dilatandosi nelle edizioni successive) —; o come si tenta un viaggio spericolato dentro la lingua italiana – straniata, rappresa in un delirio protocollare, in burocratese senza tempo, misteriosamente elegante –, dentro un arsenale inesauribile di sinonimi e figure retoriche (a cominciare dalla allitterazione del titolo). Potreste anche esserne esasperati – la “terapia” dell’autore è infatti in parte omeopatica: combatte il male con il male, riproducendolo minuziosamente – ma difficile restare indifferenti. Questo singolare trattato in progress è uno dei grandi capolavori della letteratura satirica del ’900: immaginate Fantozzi riscritto da Gadda! I modelli possibili sono innumerevoli: Rabelais e Diderot (dei quali Frassineti è stato finissimo traduttore), Flaubert, poi Kafka, Svevo, Ionesco, Orwell, Borges, la letteratura umoristico-surreale da Savinio a Malerba.La cosiddetta Critica della Ragion Ministeriale diventa indagine beffarda e insieme meticolosa, su una entità metafisica ma dalle conseguenze ben concrete. Non tanto e solo specifica tara italiana (per i modi della Unificazione del nostro paese), quanto condizione ontologica, alienazione originaria, presupposto forse ineliminabile di ogni vita associata (a un certo punto appare una utopia, ma è anch’essa beffarda: una repubblica amministrata all’aperto, un popolo di nomadi). E anche, occorre ricordarlo, espressione di una dolorosa, umiliante vicenda biografica dell’autore, appena dopo la guerra: un caso quasi unico nella nostra burocrazia di grave declassamento amministrativo.Per esplorare la sfuggente Ministerialità – che nei travet si manifesta come stato depressivo, e tra i funzionari come «forme energetiche, pulsioni aggressive» – si inizia dai grandi testi sapienziali, dall’induismo e dalla Bibbia, dove Adamo fu condannato dal Ministro della Terra ai lavori forzati, adibendo la Terra stessa a un uso carcerario. Il denso volume, che si finge essere il manoscritto di un amico, tale DK 55, è composto di frammenti e capitoletti: richieste, suppliche, ricorsi, pratiche, denunce, procedure, lettere, trattamenti, inoltri, etc. un materiale magmatico certificato da timbri e sigilli. La pagina di Frassineti, a tratti impervia, è però caricata di una iper-espressività che nasce dai malumori e dall’estro funambolico dell’autore, e che si scioglie nel gusto del racconto, nella precisione del ritratto o nella descrizione fulminante. Dopo un delitto in ascensore il cav. Amaturo ispeziona il corpo trovato cadavere: «sul fondo della cabina giaceva ora un mucchio informe di pezzi anatomici avvolti in un completo grigio a doppio petto, del tutto inoffensivi e disorganizzati». Mentre gli impiegati accorsi a gruppi appaiono «quali sgomenti, quali eccitati, quali immersi nel tipico torpore istituzionale e quindi inidonei a percepire». Anche Frassineti, come Gadda, sembra più un prosatore che un narratore: per essere un narratore dovrebbe credere di più in un ordine da dare all’informe dell’esperienza. Eppure la prosa è intrisa di affabulazione. Forse la pagina più irresistibile è quella sulla fenomenologia del ridere impiegatizio – il sorprendente raccordo tra inerzia endemica e il fenomeno diffuso di un’«ilarità ministeriale indifferenziata» – dove la lingua di Frassineti sembra imitare le «razionali ariosità e lucentezze policrome» di quei luoghi riservati all’esercizio dell’autorità... Nella lettera che il fantomatico DK 55, fuggiasco dall’Italia, manda all’autore dall’Asia (!), si apre uno squarcio lirico di straziante bellezza, non ancora contaminato dalla Ministerialità: verso Occidente vediamo colline basse, «con qualche bava di ruggine, modellate come dune...» Frassineti non è però l’autore di un solo libro ( Misteri dei Ministeri), che verrà riproposto (sempre da Einaudi) prossimamente, in una nuova edizione critica. Dobbiamo menzionare anche le raccolte di racconti, poesie, lavori teatrali e aforismi, e poi il “trittico blasfemo” — Tre bestemmie uguali e distinte (cura di G. Pulce, introduzione di G.Vitiello) – recentemente riproposto dalla Italo Svevo di Gaffi: sull’educazione, lo scempio paesaggistico e la scuola. Un sulfureo libretto intitolato all’azionista Ernesto Rossi, amico e sodale, e ispirato dall’odio per il «perenne fascismo italiano», incarnato in un «autoritarismo precettistico ». Dei suoi acuminati aforismi ne cito, un po’ a caso, soltanto tre: «Ingenuamente ho creduto / che Socialismo volesse anche dire / non diventare ricco. / E ci sono riuscito»; poi «La vita, tuttavia, / avrebbe anche la proprietà del morire»; infine «Ho impiegato ottant’anni / di lavoro mentale / per scoprire che l’uomo / è un bambino andato a male».Nell’opera di Frassineti, accanto allo sberleffo amaro, all’indignazione civile e agli acidi corrosivi sentiamo sempre una pietà – commovente – verso la sterminata massa di sventurati, ex detenuti, reduci, sfollati, tartassati, invalidi di guerra, «povere donne disgraziate», emigranti, dattilografe abbandonate dai mariti, etc., un popolo anonimo, calpestato nei suoi diritti elementari da una Ministerialità universale e inafferrabile.Ma il punto decisivo è questo: «sempre più vigoreggia nel mondo un modo ministeriale di essere, d’intendere e volere, una forma ministeriale della realtà». Non si parla qui, evidentemente, solo degli impiegati pubblici o del subdolo dispotismo di uno Stato troppo distante. In ogni professione, in ogni ambito lavorativo e di vita, in ogni nostra relazione personale, si riproduce quel «modo ministeriale di essere», che conta più di qualsiasi appartenenza ideologica (pensiamo oggi solo agli insidiosi “burocrati” della cultura, annidati in istituzioni e università). Quello di Frassineti è – dietro la intenzione satirica – un appello etico rivolto a ciascuno di noi, per riconoscere il grado di “ministerializzazione” cui siamo giunti, e per riuscire a mantenersi umani.