Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 06 Sabato calendario

Intervista a Massimo D’Alema


«Il futuro della democrazia italiana è incerto».
Massimo D’Alema, non le piace Draghi?
«Draghi sta facendo un ottimo lavoro. Sono fiducioso che si potranno conseguire i risultati auspicati. Rivolgo lo sguardo oltre l’emergenza; quando torneremo a votare e ad avere un governo espressione del voto popolare. Sento dire: qualsiasi sia l’esito, dovremo avere sempre Draghi. Esagerazioni che non sono utili, neanche a Draghi».
I sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani potrebbe votare a destra.
«Questo lo vedremo. A me preoccupa innanzitutto la prospettiva del sistema democratico. È sbagliato considerare il voto popolare come una minaccia. Penso che in questo stato d’eccezione una delle riforme debba riguardare proprio il sistema politico. Va ricostruito. Compresi i partiti».
Ricostruire. Ma come?
«Il sistema non funziona. Produce ammucchiate elettorali che si scontrano in modo violento; perché una campagna in cui chi ha un voto in più controlla il Parlamento è drammatica. Non è vero che chi vince governa il Paese. Da quindici anni si fanno governi che con il voto non c’entrano nulla».
Quale riforma vorrebbe?
«Adotterei il sistema tedesco: il proporzionale con sbarramento al 5%; la sfiducia costruttiva, che limita l’instabilità che il proporzionale può portare; il finanziamento della politica».
L’elettorato sarà entusiasta.
«Mi rendo conto di dire cose impopolari. Però, utili al Paese. In Germania si finanziano non i partiti, ma le loro fondazioni culturali, dove si forma la futura classe dirigente. Siamo in un dopoguerra; la ricostruzione passa anche attraverso i partiti. Se, invece, si pensa che il rapporto tra cittadini e istituzioni debba essere affidato a singole personalità, allora si abbia il coraggio di andare fino in fondo con il presidenzialismo; con tutti i controlli e i contrappesi necessari».
Quasi trent’anni fa gli italiani scelsero il maggioritario, e lei era d’accordo.
«Ed è stato giusto. Si apriva una fase nuova, serviva un ricambio. Fu fatta una buona legge, che porta il nome di Mattarella. Oggi abbiamo una legge pessima. La destra fa muro contro i collegi uninominali, dobbiamo prendere atto della realtà. Il degrado del maggioritario ha avuto effetti disastrosi. Un Parlamento senza alcun rapporto con gli elettori».
La soluzione è davvero il proporzionale, magari con le preferenze?
«Nel sistema tedesco ci sono i collegi. L’importante è che il cittadino scelga da chi vuole essere rappresentato. Oggi gli eletti non vanno sul territorio, perché si guadagnano la carica nell’ufficio o nell’anticamera del capo partito. Siamo a livelli di trasformismo mai raggiunti nella storia. Basta. È un’emergenza dal punto di vista della tenuta democratica».
Chi andrà al Quirinale?
«Una figura di garanzia. Va scelta una persona che non abbia una caratterizzazione di parte. Sarebbe utile al sistema democratico se in questa ricerca ci si orientasse verso una personalità femminile, in questo senso, non si può sottovalutare la ricchezza presente nella politica, nella cultura e nelle professioni».
Una donna. Quindi niente Draghi?
«Il Paese ha bisogno che Draghi continui a governare. Dal Quirinale non si governa, si svolge un ruolo di garanzia. Stiamo attenti, già abbiamo inventato che i cittadini eleggevano il capo del governo. Non era vero. Non vorrei che ora inventassimo un semipresidenzialismo di fatto. Con la costituzione non si scherza, altrimenti si logora il sistema democratico».
Draghi deve restare a Palazzo Chigi?

«Siamo a metà del guado, in un momento delicatissimo. Il Pnrr deve essere utilizzato per gettare le basi di una crescita duratura. L’Ue ci impone tempi incalzanti. E noi buttiamo tutto per aria e andiamo al voto anticipato? La destra ha un disegno: eleggiamo Draghi, paghiamo il nostro prezzo, ci legittimiamo in Europa, poi si va alle urne con questa legge e prendiamo il governo. Un disegno non positivo per il Paese».
Ma la destra al Quirinale non vuole Berlusconi?
«Mi pare che, ormai, non ci pensi nemmeno lui».
Perché non sarebbe possibile?
«Perché Berlusconi è un leader di parte. Quando nel 2006 si fece il mio nome, fu proprio lui a dirmi che non poteva votarmi, perché ero un avversario politico. Aveva ragione».
Il futuro della sinistra è con i 5 Stelle?
«Se oggi abbiamo la crescita, è per il modo in cui abbiamo affrontato la pandemia. Prima con Conte, poi in continuità con Draghi. Il ministro Speranza, il cui rigore ha reso possibile la ripresa, ha ricevuto attacchi gravissimi per aver difeso la salute degli italiani. Anche Conte subisce un linciaggio da parte di larga parte dell’informazione. Eppure ha svolto e svolge un compito positivo: portare un movimento di protesta alla sfida di governo e all’alleanza con la sinistra».
Voi di Articolo Uno tornerete nel Pd?
«Si è aperto un dialogo. Apprezzo il lavoro di Letta per aprire e rinnovare il Pd. Sono un militante di base, farò quello che deciderà il compagno Speranza…».
Non mi prenda in giro.
«Bisogna ricostruire il partito democratico nel suo rapporto con il Paese. Il Pd è figlio di una stagione in cui si teorizzava che le ideologie erano finite, e servivano partiti aperti, senza strutture. Tutte queste idee erano sbagliate. Nello stesso tempo, la destra prendeva forza perché, al contrario, era ideologica e strutturata».
Ma anche lei ha sostenuto la nascita del Partito democratico.
«C’è stato un momento in cui si scongelava la guerra fredda, era giusto liberarsi di un certo bagaglio ideologico. Ma quando il Pd è nato, tra il 2007 e il 2008, la fase dell’ottimismo sul mondo globale era già finita; cominciava la grande crisi, in cui si perdono certezze, prevale la paura. Oggi c’è una minoranza che vede la globalizzazione come opportunità, e che vota a sinistra. Ma c’è una maggioranza che vive il presente con un senso di timore. Nel mondo la destra vince perché manda forti messaggi ideologici di appartenenza, di identità, di riaffermazione delle radici etniche e religiose».
E la sinistra?
«La sinistra deve tornare ad avere un messaggio ideale, anzi direi proprio ideologico: il riscatto sociale. L’eguaglianza. Un mito progressista, da contrapporre a quello regressivo della terra e del sangue. Guardi quant’è forte la destra in America…».
Biden non la convince?
«È suggestivo il messaggio neo-rooseveltiano incentrato sugli investimenti pubblici; che però è in contraddizione con il clima di guerra fredda instaurato verso la Cina. Un clima che può favorire il ritorno della destra a Washington».
La Cina non sta facendo molto per evitare una nuova guerra fredda.
«Cinque anni fa, la Cina era molto più aperta. Ora si sta chiudendo. Si sente vittima di una controffensiva che colpisce i suoi interessi; e una grande potenza che si sente aggredita reagisce con una chiusura nazionalista. Anche dal punto di vista della violazione dei diritti umani stiamo ottenendo un risultato opposto».
C’è stato il G20 a Roma.
«È stato molto ben condotto, ma dai risultati modesti. Il G20 era nato per avere al tavolo anche i cinesi e i russi; se non vengono, diventa un G7 allargato. Se da una parte cresce il boicottaggio verso le imprese cinesi e il tentativo di isolare la Cina anche militarmente con l’accordo Aukus sui sommergibili nucleari, dall’altra parte mi sembra difficile ottenere cooperazione sull’Afghanistan o un accordo sul clima. Non è così che funziona. Scelte difficili, come azzerare le emissioni per un Paese in piena crescita industriale, si possono avere solo in un quadro di collaborazione. Che ora non c’è. Quale interesse può avere l’Europa a spingere Cina e Russia a coalizzarsi contro l’occidente?».