la Repubblica, 6 novembre 2021
Il peso delle colpe
E cco Franca Leosini, ma è un’altra storia, forse un altro film. C’è chi è rimasto assai perplesso alla notizia del ritorno di maledette storie in tv, ma non per descriverne altre, bensì per raccontare, in due puntate, sviluppi assai post-datati con antichi protagonisti del suo programma. E invece, pagando il pegno di seguire fino in fondo e a passo lento la lunghissima ricostruzione, si è scoperto che il senso era un altro: ovvero la Leosini non ha pescato nel mucchio, ma ha individuato in questa prima puntata (Rai 3, giovedì) un caso assai preciso, quello del catanese Filippo Addamo e ne ha fatto una pagina pressoché letteraria, nella quale ognuno poteva scegliersi gli snodi più interessanti. Addamo, ventenne, nel 2001 uccide la madre: donna di 38 anni, di suprema bellezza, la miscela di gelosia filiale per le libertà di lei e la sovreccitazione da orgoglio distrutto di lui è di quelle inestricabili. La vita dopo è fatta di carcere, rieducazione, lavoro, Porto Azzurro, attrici che vanno a girarci film, Belgio, cugine da sposare, un figlio. In effetti, tutto piuttosto sbalorditivo, con il protagonista, Addamo, in studio, con vent’anni di più: la storia maledetta viene rievocata con la puntata di allora, l’evoluzione di vita e atteggiamenti va oltre ogni previsione. Ma rimane lui, il matricida che sembra aver trascorso molto tempo a pensare a come dosare in futuro il peso della colpa, il suo ruolo, il riscatto, la volontà di uscirne un giorno (ma non si potrà) e non dare mai, soprattutto tornando dalla Leosini, l’impressione di quello che ci marcia un po’. Davvero, qualcosa di mai visto in questi contesti. Non a caso nel finale di puntata ci si collega con lo scrittore Walter Siti: che ha conosciuto il ragazzo, ne ha scritto in un libro ( La natura è innocente ) e nella dialettica che si è sviluppata, con il protagonista convinto ma mai del tutto della situazione, c’era forse il senso, appassionante, di tutto quanto.*** Va aggiunto che in oltre due ore di tv leosiniana, l’unica concessione all’antica gag del suo parlare ampolloso e barocco è all’inizio, quando descrive quegli “agglomerati di vita che talvolta impropriamente si chiamano famiglie”.