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 2021  novembre 06 Sabato calendario

Intervista a Rafael Leão


Rafael Leao, com’è il derby da capolista, con l’Inter a 7 punti?
«Ricordo l’atmosfera unica del primo che ho giocato, peccato per la sconfitta, e quello vinto col mio assist a Ibra, peccato che non ci fosse il pubblico. Ora vogliamo vincere davanti ai tifosi».
Vale un pezzo di scudetto?
«È presto: l’ultimo se lo è preso l’Inter, va rispettata. Ma un derby è un derby, vincerlo è importante».
Com’era il suo a Lisbona?
«Sporting-Benfica era la stessa cosa grande. I due stadi sono vicini, i tifosi lo aspettano, i giocatori sono pronti alla battaglia».
È famosa la sua foto su Instagram coi palazzoni del Bairro da Jamaica: “Cresciuto qui come un topo per diventare un leone”.
«Amora sta dall’altra parte del Tago, si può prendere il battello da Lisbona per Almada. Poi si scende un po’ fino a Vale do Chicharos, la mia strada. Jamaica è tutto per me: è lì che ho cominciato a giocare, che ho la mia famiglia, i miei amici, le persone più importanti. Torno appena posso: è il mio cuore».
La trap, la sua musica, negli Usa ha anche il senso di trappola: la strada, le insidie del ghetto.
«Hip hop e trap sono il mio hobby».
Nome d’arte WAY 45 e un album, Beginning: quarta traccia Sacrificios, qual è il più grande?
«Way come cammino, 45 come il codice postale di Jamaica. Il sacrificio oggi è essere qui da solo, la mia famiglia è in Portogallo. È svegliarmi e non trovare la mia sorellina. Ma la cosa bella è che non hanno più nulla di cui preoccuparsi, posso dargli tutto».
Come il salone da parrucchiera che ha regalato a sua madre?
«Lo desiderava: non ci ho pensato due volte».
A suo padre dedicava i gol col gesto del telefono.
«Siamo mamma, papà e 7 tra fratelli e sorelle. Il più grande ha 33 anni, Mellany 8 mesi».
Con la Bgang, lei rappava “Longe”, lontano: parlava di Champions come di un sogno.
«Lo era, fin da piccolo, e l’ho realizzato col Milan, la squadra delle 7 Coppe dei Campioni e di Kakà, Seedorf e Pirlo, che ammiravo, come Barcellona e United. Sono felice».
Ma rischiate di uscire subito.
«Mancano 2 partite, 2 finali. Un punto in classifica è poco, meritavamo di più».
Ancora da Longe: “Sono come Zlatan, mi fido di me stesso, figlio del ghetto”.
«La fiducia in noi stessi, la mentalità sono fondamentali per il successo, che uno sia calciatore o cantante.
Zlatan è un fratello maggiore, gli sto sempre vicino. Lui sa che posso fare la differenza con i piedi, ma mi mostra che l’importante è la testa, restare sempre concentrato».
I punti di riferimento per non sbagliare strada?
«Pioli, un allenatore esigente.
Maldini, un idolo che parla con semplicità perché ognuno di noi dia il meglio. E Ibra, un esempio per il passato e per il presente: l’età per lui è un numero».
Il Milan è giovane: da qui lo stile di gioco nuovo?
«Ha il senso di libertà che l’ allenatore ci insegna: siete giovani ma maturi in campo, ci dice, godetevi la gioventù ma onorate questa maglia».
Lei, per le statistiche, è il re del dribbling della Serie A.
«È una fase importante del gioco.
Sento la fiducia dei compagni che mi danno la palla, dribblo per ritrovarmi davanti alla porta e fare l’assist o il gol».
Il calcio è ormai sport all’americana o rimangono le scuole nazionali?
«È sempre uno sport unico, diverso dagli altri, però qualcosa è cambiato, coi social».
La scuola italiana?
«La prima stagione venivo dalla Francia, il calcio italiano era un po’ difensivo. Ma ora la Serie A, con tanti giovani di valore è al livello della Premier o quasi».
Ad Almada c’è il Cristo Re come a Rio: lei, di padre angolano e madre di Sao Tomé, sente l’ascendenza africana o quella brasiliana?
«Ci sono grandi calciatori africani, ma io da piccolo mi ispiravo a
Ronaldinho e a Robinho. Dicevo: “Io sono Ronaldinho”. E dribblavo».
Il suo primo presidente, all’Amora, la scoprì dalla finestra.
«Abitava nel nostro condominio.
Papà cercava un club per farmi allenare, un giorno lui mi vede giocare e mi chiede se volevo andare all’Amora. Avevo 8 anni, è cominciata così».
Lei ha segnato il gol più veloce della Serie A e il più bello del 2020-21: istinto?
«A volte la mia testa non so che cosa fa: magari davanti alla porta sbaglio gol facili o magari ne dribblo due o tre e segno come in strada, mi viene naturale».
Si sente un predestinato?
«Dio mi ha regalato il talento, la cosa più rara. Ma poi ci sono i sacrifici, il lavoro duro. A calcio non si gioca da soli. Ho un talento da coltivare».
Un mese fa il debutto nel Portogallo, in staffetta con Ronaldo.
«Aspettavo la Nazionale da tanto, mi mancava: nel Milan sto dimostrando quello che posso fare. Cristiano è un campione che si mette a disposizione dei giovani».
Una generazione di lusso: può arrivare al Mondiale sfuggito a quelle di Eusebio e Figo?
«Sono epoche diverse, ma certo oggi il Portogallo ha giocatori incredibili: il Mondiale non è impossibile, anche se ci sono altre grandi Nazionali».
La sua etichetta è eclettico: ruolo preferito?
«A sinistra posso puntare l’avversario, c’è più spazio. Da centravanti devi tenere palla, da solo è più difficile. Nel 4-4-2, con un’altra punta, ti muovi di più. Ma davvero gioco dove serve».
Farà il rapper dopo il calcio e intanto andrebbe a Sanremo come Ibra?
«Il rapper forse sì o forse no, vedremo: manca ancora un sacco di tempo, no? Per ora è un hobby. Non faccio musica per i concerti, ma per tirare fuori quello che ho dentro»