La Stampa, 6 novembre 2021
Alice ricorda Battiato
Ho incontrato Franco per la prima volta alla fine degli anni Settanta negli uffici di Angelo Carrara che al tempo era il manager di entrambi. Proprio lì, quel giorno stesso, gli feci ascoltare i miei primi tentativi compositivi. Senza scomporsi mi incoraggiò suggerendomi di continuare a scrivere e dicendo che di lì a un anno ci saremmo senz’altro rivisti per registrare un album. E così andarono le cose. Trascorso più o meno quel tempo gli feci ascoltare le nuove canzoni e in breve passammo da una prima fase di pre-produzione nella sua casa di Milano, allora in via Perugino, alla registrazione vera e propria nello studio di Alberto Radius. Ne uscì l’album Capo Nord, pubblicato nel 1980 che conteneva il fortunato singolo Il vento caldo dell’estate, costruito su una composizione strumentale di Francesco Messina. In seguito con Franco realizzai anche il successivo album Alice che conteneva il singolo Per Elisa con cui vincemmo il Festival di Sanremo nel 1981. Le cose andavano alla grande. Nelle note di copertina di quegli album, Franco (come sempre insieme a Giusto Pio) risultava essere semplicemente l’arrangiatore, ma in pratica era il vero e proprio produttore, a 360°. Quest’ultimo titolo, non si sa bene perché in Italia in quegli anni era spesso attribuito al manager. La regolarità con cui lavoravamo era quella tipica del modo di procedere di Franco. Determinava un ritmo perfetto, tra azione e pausa, che consentiva una concentrazione straordinaria senza spreco di energie e tempi morti. In studio regnava una sinergia creativa potente con lui e anche con Pio, che non si limitava certo all’arrangiamento delle parti destinate agli archi. Per quanto mi riguarda, per quello che è stata la mia diretta e lunga esperienza musicale con Franco, posso senz’altro affermare di aver ben compreso che lui è sempre stato un vero e proprio compositore, intendendo questo nel senso più classico e ampio del termine; per lui l’arrangiamento, l’orchestrazione, sono parti della composizione stessa, un unicum di cui naturalmente fa parte anche il testo, importante per sua musicalità e non solo per contenuti. Il suo gusto, la capacità di ascolto e le sue doti tecniche gli permisero di valorizzare al meglio le mie caratteristiche vocali e interpretative. Ma questo non lo fece solo con me, ma con tutti gli artisti, anzi a guardar bene le artiste, che in quegli anni e in seguito produsse con successo. E poi c’è un’altra cosa davvero importante: l’aver cantato tante volte insieme. Un vera fortuna, un grande piacere; le nostre voci funzionavano bene insieme, occupavamo due ruoli diversi e complementari. Il nostro primo fortunato duetto è stato quello con Chanson egocentrique, e un altro momento condiviso indimenticabile è stata la nostra partecipazione all’Eurofestival con I treni di Tozeur nel 1984. Fu una vera avventura, perché nonostante fosse un periodo in cui entrambi eravamo in una fase professionale decisamente d’oro, cominciavamo a condividere anche un certo distacco per la scena pubblica e quel festival era la manifestazione più pop d’Europa! Ci fu comunque da divertirsi, e ci sarebbero molti aneddoti da raccontare. In occasione della scelta dei titoli dell’album Gioielli rubati, pubblicato nel 1985, con gli arrangiamenti di Roberto Cacciapaglia, in cui interpretavo canzoni per l’appunto rubate dagli album più recenti di Franco, gli avevo chiesto cosa ne pensasse della scaletta e al tempo mi rispose che non capiva come mai avessi scelto anche Prospettiva Nevski. In quel momento forse lo considerava un suo pezzo minore e ribadì di pensarci bene prima di inserirlo nell’album. Ma io che non avevo mai avuto dubbi sulla bellezza e qualità di quella canzone, la registrai con immenso piacere. Poi Franco finì per ricredersi e iniziò ad eseguirla anche lui nei suoi concerti; e questa fu una risposta più che esaustiva! Più recentemente, nel 2012, gli dissi che mi sarebbe piaciuto veramente molto poter interpretare una nuova sua canzone con le forti caratteristiche (spirituali-meditative) che avevano L’ombra della luce e L’Oceano di silenzio, con le quali mi ero già cimentata. Alla mia spudorata richiesta seguì un silenzio, che a me sembrò interminabile. Cercò di rispondermi sottolineando che quelle erano canzoni veramente «ispirate» e che non mi poteva certo assicurare di ritrovare a breve lo stato necessario per scrivere ciò che gli avevo chiesto. Ma dopo due giorni mi chiamò e al telefono mi fece ascoltare una prima versione di Eri con me. Rimasi commossa e la inserii subito nell’album Samsara. Ed è ancora vivissimo in me il ricordo di quando anni prima mi aveva fatto ascoltare, sempre al telefono, il provino di La cura che aveva appena scritto e rammento bene quanto istantaneamente quella canzone mi avesse toccato e commosso al primo ascolto. Anche questo era Franco! La sostanza di quello che faceva andava ben oltre la qualità degli improbabili ascolti telefonici o in auto o chissà dove.Ma ci sono anche una gran quantità di cose vissute insieme. Negli anni Ottanta, ad esempio, andavamo spesso assieme a teatro a vedere spettacoli provenienti da altri Paesi e culture come le rappresentazioni del Teatro N? giapponese, o un concerto di Nusrat Fateh Ali Khan, cantante e musicista pachistano famoso per la musica mistica millenaria Qawwali, testimonianza vivente di una conoscenza che si tramanda nel tempo. C’è stato anche un periodo in cui lo accompagnavo alle mostre o a qualche asta, soprattutto di quadri e tappeti antichi. A volte ci si andava solo per il piacere di guardare, altre per acquistare un oggetto più o meno antico, spesso un dipinto o un tappeto orientale. In realtà Franco era così affascinato dall’arte del tappeto che a un certo punto si era persino iscritto ad un corso specifico che si teneva fuori Milano. Ci andò qualche volta ma tutto finì lì. Aveva la meravigliosa dote di saper cogliere velocissimamente l’essenza di ogni espressione di qualsiasi forma espressiva (e quindi della vita) con leggerezza, acume e profondità.Ma meglio non farlo arrabbiare! Detestava le perdite di tempo. Per certi versi era persino intransigente e per contro altre volte era quasi incapace di dire di no. Dietro tutto questo c’era anche la sua proverbiale enorme generosità. Ma questa è un’altra storia, di cui però non amava affatto parlare. —