il Giornale, 6 novembre 2021
Intervista a Giovanni Allevi
Conoscemmo Giovanni Allevi quando faceva l’insegnante di pianoforte del figlio di un amico e capimmo subito che c’era della stoffa pregiata nel suo magico tocco. Poi se ne accorsero i discografici e il pubblico, una legione di fan scatenati (persino in Estremo Oriente) che lo segue tappa per tappa durante i suoi concerti. Oggi Allevi è molto seguito anche per le sue idee (ha appena pubblicato un nuovo libro Le regole del pianoforte, Solferino) e ieri, a Glasgow, all’Ambassador Earth Day, dove i potenti della Terra parlavano di Giovani e di educazione alla cittadinanza, è stato proiettato il video di Our Future, brano tratto del suo nuovoalbum Estasi, in uscita oggi.
Un nuovo album di Giovanni Allevi è un evento per le legioni di fan che lo adorano e lo seguono in tutti i suoi concerti. Lui, sornione e iperansioso come sempre, lancia sempre il cuore oltre l’ostacolo e si misura non solo con la musica ma anche con temi etici e filosofici e questa volta parte addirittura alla ricerca dell’Estasi, titolo – appunto – del lavoro che contiene le sue composizioni inedite e che anticipa una lunga tournèe.
Come ha vissuto durante il lockdown?
«È stata un’esperienza brutale ma non nuova per me che non esco mai e me ne sto sempre rintanato in casa. Io sono un gatto sotto la credenza, non mi muovo mai se non per fare concerti. Vivo in disparte però questa pandemia ha accentuato la mia ansia per coloro che sono morti e sono stati male; per questo ho sofferto molto».
I brani li ha scritti durante il lockdown?
«Sì, mosso dall’inquietudine del buio dell’anima che mi circondava ho cercato la luce attraverso la musica: ho cercato una dinamica che mi portasse all’estasi».
E c’è riuscito?
«Brano dopo brano, lentamente, ho cercato di afferrarla e nell’ultimo pezzo, Estasi appunto, penso di esserci riuscito».
Che cos’è l’estasi?
«Felicità è l’appagamento di un bisogno nella vita quotidiana; l’estasi è l’attimo dirompente, un surrogato di eternità».
Però è effimera.
«I bambini la vivono continuamente e noi abbiamo il dovere di cercarla. Questo è il significato del brano Lucifer, tutti noi siamo angeli caduti dal cielo e dobbiamo rialzarci e puntare in alto».
È un disco spirituale.
«Un disco dalle molte facce. La musica mi dà la possibilità di sublimare emozioni e sentimenti. I nostri draghi interiori, come li chiamo io, grazie alla musica si trasformano in figure variopinte che ci abbracciano con la loro energia».
Lei è cattolico?
«Credente. Qualunque forma d’arte ti porta nel baratro di un abisso dove il passo successivo è la trascendenza. Essere credenti significa cercare di scoprire il mistero che è fuori e dentro di noi».
Quanto ci ha messo a comporre l’album?
«Un anno. Di solito scrivo di getto, ma stavolta è stata una ricerca estenuante e tormentata perché l’oggetto amato, l’estasi, mi sfuggiva continuamente».
Oggi come si definisce?
«Un pianista classico contemporaneo. Classico per l’architettura del brano che compongo, contemporaneo per il contenuto, l’armonia, la melodia e il ritmo che cerco di rendere attuali.... Mi definisco un evoluzionista e da parte degli ambienti più conservatori della musica colta la mia è stata considerata una forma di lesa maestà nei confronti dei grandi del passato».
Come l’ha presa?
«Dopo esserci stato male ho capito che questa è la mia missione e la porto avanti con spirito eroico forte dell’affetto del mio pubblico».
Che cos’è il pop?
«È una manifestazione del presente che spesso si arrotola su se stesso manifestando mode transitorie».
Lei lo ascolta?
«In casa mia da piccolo c’erano solo dischi di classica e lirica. Le uniche eccezioni sono state un 45 giri degli Abba, la colonna sonora de La febbre del sabato sera dei Bee Gees e Dangerous di Michael Jackson, che mi sono comprato io».