Il Messaggero, 6 novembre 2021
A 30 anni dalla morte di Yves Montand
Trent’anni fa, il 9 novembre 1991, moriva a Senlis Yves Montand, forse il più duttile, intelligente e versatile chansonnier del secolo scorso: sapeva cantare, ballare e recitare, inventò uno stile e lo esportò nel mondo, conquistò Hollywood e Marylin Monroe, amò varie donne ma volle esser sepolto vicino alla moglie, Simone Signoret, morta di cancro – e forse di amarezza – pochi anni prima. Cantò in varie lingue, e la sua Angiolina, in buon italiano, ci commuove quanto la più famosa Les feuilles mortes, che in questo autunno di crisi climatica ci sembra particolarmente appropriata. Si impegnò in politica, e per tre decenni simpatizzò per la sinistra. Poi, confermando il detto di Clemenceau che chi non è socialista da giovane è senza cuore, e chi lo è ancora da vecchio è senza cervello, ripudiò il marxismo e quasi si candidò con i liberali. La sua fine fu improvvisa e prematura, ma non avvilente: dopo un’immersione in un lago gelato, per esigenze cinematografiche, fu colpito da un infarto cardiaco. In ambulanza, mentre lo portavano all’ospedale, disse agli infermieri che dopo una vita così piena e fortunata se ne andava senza rimpianti. In ogni caso, evitò le umiliazioni e le sofferenze dalla decrepitezza.
Era italiano a tutti gli effetti, essendo nato a Monsummano Terme (Pistoia) esattamente un secolo fa, il 13 Ottobre 1921. Apparteneva a quella schiera di piccoli emigrati, come Serge Reggiani e Lino Ventura che da adulti avrebbero onorato il cinema francese. Il padre, attivo antifascista, era stato costretto a rifugiarsi due anni dopo la sua nascita a Marsiglia, e qui Ivo crebbe in povertà, e lavorando modestamente per guadagnarsi il pane.
TIP TAPNel frattempo si appassionava della nuova musica americana, effervescente e chiassosa. Il suo idolo era Fred Astaire con il suo tip tap, che oltralpe chiamano les claquettes. A 19 anni debuttò i teatro, oscillò tra successi e delusioni e quindi approdò a Parigi, in piena occupazione tedesca. Qui conobbe Edith Piaf, stella assoluta nel settore, che lo accolse tra le quinte e tra le braccia. Con un simile viatico Ivo, che aveva cambiato nome dopo l’assunzione della cittadinanza francese, raffinò la voce, rinnovò il repertorio e alla fine insidiò il primato della sua maestra, che prudentemente lo allontanò dalla sua vita. Yves, libero nel cuore e nei contratti, trovò in Simone Signoret, la bellissima casco d’oro, una duratura e integrale consolazione.
Durante la guerra non ebbe noie. I nazisti erano di manica larga con artisti e scrittori, a cominciare da Sartre e da Simone de Beauvoir. Il rancoroso filosofo pubblicò L’Etre et le Néant, che sarebbe diventato il vangelo degli esistenzialisti di Saint Germain, nel 1943, e anni dopo ammise che non era mai stato tanto libero come sotto il governo di Vichy. Quanto a Montand, la sua estrazione operaia lo salvò, durante l’epurazione, dal sospetto di aver cantato e recitato per gli ufficiali nazisti, come del resto avevano fatto Maurice Chevalier, Tino Rossi, Mistinguett, Arletty e tanti altri. Alcuni se la cavarono con un’ammonizione. Gli scrittori più esposti, come Céline, furono processati e condannati. Brasillach fu fucilato.
IL CINEMACon la pace, la libertà e il benessere, anche il cinema trovò nuova linfa,e Montand ne entrò da protagonista, con il capolavoro di Marcel Carné Les portes de la nuit del 1946. Consolidò la fama girando con registi come Christian-Jacques, Henry-Georges Clouzot, Claude Autant-Lara, e Jules Dassin. Nel 1960 George Cukor lo volle a Hollywood come protagonista in Facciamo l’amore, con Marilyn Monroe, e naturalmente ne nacque un idillio, che diventò scandalo internazionale. Lei era sposata con lo scrittore Arthur Miller, lui sembrava inossidabile con Simone, con cui condivideva anche l’attivismo politico. Ma la Signoret stava invecchiando precocemente, i suoi tratti si indurivano e il corpo si appesantiva. Con l’alibi che l’ uomo non è di legno, Montand ammise che la vicinanza sul set, ininterrotta, continua, pacifica e pubblica come l’usucapione, aveva stimolato la sua attitudine a integrarla con approcci più saltuari ma privati. Marilyn, forse annoiata dai contorti intellettualismi del distratto marito, e conquistata dal fascino latino del partner corrispose estasiata. Simone Signoret se ne accorse, e da gran signora fece finta di nulla. Montand ritornò da lei pentito, o forse semplicemente esausto.
L’URSSIntanto la sua fede politica declinava. Era stato in Urss, aveva cantato per Krusciov e aveva fatto una tournée nell’Europa dell’Est, toccando con mano i disastri economici, sociali e morali della tirannide comunista e dei satelliti asserviti. Quando nel 1968 i carri del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia ruppe con il Partito. Nel 1969 i compagni tuttavia lo acclamarono come protagonista di Z- L’orgia del potere di Costa Gavras, un energico atto di accusa contro la dittatura dei colonnelli greci. Ma l’entusiasmo durò poco. L’anno dopo lo stesso regista, sempre con Montand, mandò sugli schermi La confessione. Era un adattamento del libro di Artur London sui famigerati processi tenuti dal regime stalinista di Praga agli inizi degli anni 50. Gli imputati erano sottoposti a intollerabili sevizie fisiche e morali, e costretti a confessare crimini inesistenti, soprattutto di natura politica. Tutti furono condannati, e molti fucilati. Montand vi mise una partecipazione altrettanto sincera di quella dimostrata nel precedente ruolo di antifascista, e gli intellettuali di sinistra cominciarono a mugugnare. Il muro di Berlino era ancora solido, e la loro acquiescenza alla Chiesa madre incondizionata: ogni deviazione era vista con sospetto.
L’ERROREEra un sospetto fondato. Agli inizi degli anni 80, mentre ritornava sul palcoscenico sbancando i botteghini e con oltre un milione di dischi venduti, Yves Montand si proclamò liberale, ammise l’errore di aver sostenuto un’ideologa fallita come il marxismo e confidato in un satrapo sanguinario come Stalin, e continuò a battersi per i diritti umani contro ogni forma di autoritarismo, dell’una o dell’altra parte. Nel frattempo Simone Signoret era morta, e a sessantasette anni l’impenitente amoroso, legatosi con Carol Amiel, di quarant’anni più giovane, diventò padre. Come spesso accade, l’introduzione tardiva di un nuovo soggetto ereditario in una famiglia facoltosa creò dissidi, Dopo la morte dell’artista, Ann Drossart, un’attrice con cui Montand aveva avuto una relazione, ne fece riesumare la salma per l’esame del Dna, sostenendo che Yves fosse il padre naturale della figlia Aurora. La causa si protrasse per undici anni, e alla fine la domanda risultò infondata. L’esuberante donnaiolo aveva preso le sue precauzioni.