La Stampa, 6 novembre 2021
Renzi ha fatto spendere alla fondazione Open 550 mila euro
Sono tre i fili tirati dalla Procura di Firenze per dimostrare che la fondazione Open, a dispetto della veste statutaria, era stata costituita sin dal 2011 come «struttura a medusa» finalizzata esclusivamente, sotto forma di «surrettizia simbiosi», a supportare «l’ascesa politica» di Renzi: le spese sostenute per le iniziative politiche del leader e della sua corrente; le dazioni di imprenditori intermediate da finte consulenze legali per celare un «do ut des» politico-affaristico con provvedimenti legislativi di favore; l’uso del patrimonio della fondazione per soddisfare esigenze personali di Renzi e dei suoi accoliti, estranee dunque non solo alla mission di Open ma anche all’attività strettamente politica.
A quest’ultimo filo fa riferimento una tabella riassuntiva, elaborata dalla Guardia di finanza e valorizzata dal tribunale del riesame come «interessante», che calcola in 550mila euro in meno di sette anni «il costo dei servizi alla persona fruiti da Renzi e sovvenzionati dalla fondazione». Quindi non fatture relative a eventi come la kermesse della Leopolda, ma spese vive personali. «Le voci – spiegano i giudici – sono costituite da editoria, libri, giornali e riviste, acquisti di carburante e lubrificanti, spese alberghiere, pedaggi autostradali, biglietteria varia, spese per ristoranti, rimborsi spese a piè di lista, locazione di sale, palchi e teatri, spese telefoniche e telefoni cellulari, internet, noleggio auto, altri costi come scontrini e documenti non intestati, servizi fotografici e riprese video, contributi ed erogazioni liberali, acquisti vari».
Secondo i calcoli degli investigatori, queste spese hanno un andamento mutevole negli anni. Partono da 33mila euro nel 2012, esordio dell’attività della fondazione, crescono esponenzialmente nel 2013 (quando Renzi vince le primarie e diventa segretario Pd), calano nel 2014, 2015 e 2016 (con Renzi a Palazzo Chigi) a livelli compresi tra 28mila e 42mila euro annui, s’impennano nuovamente nel 2017 fino allo scioglimento a metà 2018, con Renzi uscito da Palazzo Chigi e alla riconquista del Pd: oltre 250mila euro.
A quest’ultimo periodo si riferisce, per esempio, il volo privato per Washington del giugno 2018: 135mila euro pagati dalla fondazione per consentire a Renzi di partecipare alla cerimonia in memoria di Bob Kennedy, leggendo in inglese due minuti e mezzo di un brano del celebre discorso (di Kennedy) sul Pil.
Dalle fatture pagate da Open emerge la passione di Renzi per i libri. Soprattutto i suoi. Nel 2012 ce ne sono due delle librerie Rizzoli, in totale 4.725 euro, per l’acquisto di copie dei libri “Fuori” e “Stilnovo” scritti da Renzi (allora sindaco e candidato alle primarie Pd) e pubblicati da Rizzoli. Allo stesso periodo appartiene una fattura di 713 euro per una cena all’hotel Four Season di Firenze, successiva al comizio di Renzi al Mandela Forum. A tavola con lui sono in sei. Inizialmente intestata all’ufficio del cerimoniale del sindaco, la fattura viene poi girata alla fondazione con un post-it della segretaria: «Renzi, Brizzi&Co. NB: far cambiare intestazione». Ancor più significativa, 5.600 euro, la fattura dell’hotel Palazzo Ruspoli di Firenze per «soggiorno Renzi» tra fine settembre e inizio dicembre.
Anche Lotti e Boschi sono accusati di aver beneficiato di «beni e servizi», ma per importi decisamente minori (27mila e 6mila euro) e per lo più relativamente a viaggi e rimborsi benzina. Entrambi erano titolari di bancomat della fondazione. La difesa di Lotti sostiene che, da ministro, differenziava le spese per l’attività istituzionale da quelle per la fondazione.
L’imputabilità personale delle singole spese e la riconducibilità all’attività della fondazione sono i temi al centro dell’udienza preliminare, insieme alla questione di fondo sulla «simbiosi» fondazione-corrente di partito. Sollevata dagli avvocati di Carrai con un terzo ricorso in Cassazione. Renzi, invece, chiederà una proroga del termine per esaminare tutti gli atti e decidere se farsi interrogare. Nel frattempo polemizza contro pm e giornali per «un processo celebrato nel tempio del giustizialismo: lo spazio media e social in violazione della privacy e delle guarentigie parlamentari», per cui ha chiesto al Senato (dove però è entrato solo nel 2018) di dichiarare inutilizzabili le sue comunicazioni.