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 2021  novembre 05 Venerdì calendario

Storia della canzone romana


Correva l’anno 1939 quando il Trio Lescano – tre splendide ragazze di origine ungaro-olandese e bravissime nel canto italiano – incisero la celeberrima Maramao perché sei morto? che è così famosa che la cantano tutti, anche coloro che la ignorano. Pochi, però, se non praticamente nessuno sa che Maramao è un canto narrativo romano del XVI secolo in cui non si cantano le gesta di un gatto rubacuori passato a miglior vita bensì le rapine e devastazioni del lanzichenecco Maromau che il 6 maggio del 1527 mise a ferro e fuoco Roma con il famoso «sacco».
L’allegretto dedicato al lanzichenecco è geometricamente sovrapponibile al motivo della canzone swing: «Maramao perché sei morto?/ Pane e vino nun te mancava/ l’insalata l’avevi all’orto…/ Maramao perché sei morto?». Come è possibile? Beh, perché la canzone popolare di Roma, proprio come accade con la più internazionale canzone napoletana, è la sorgente della canzone italiana del Novecento. Per rendersene conto ci sono due strade: o conoscere le canzoni romane o leggere il musicale libro di Elena Bonelli: La canzone romana (Newton Compton Editori), che sarà presentato oggi a Roma.
La storia della canzone romana si divide in una preistoria e una storia vera e propria. La preistoria va dai fescennini alle laudi agli stornelli e deve fare i conti soprattutto con la Roma del papato. La storia ha una data di nascita precisa: la notte a cavallo tra il 23 e il 24 giugno del 1891 con la festa di San Giovanni e la Notte delle streghe quando tra cristianesimo e paganesimo, sacro e profano, l’olandese Pietro Cristiano ebbe l’intuizione di creare un concorso canoro in cui si mettevano insieme piazza e popolo, il Laterano e la locanda di Facciafresca. Un successone. In poco tempo si dovette dare una diversa sistemazione al festival presso il Grande Orfeo di via Depretis e qui, in questa culla di romanità, muovevano i primi passi Leopoldo Fregoli e Lina Cavalieri, mentre Romolo Balzani e il genio di Ettore Petrolini creavano la canzone romana. Vennero al mondo canzoni eterne come la Città: L’eco der core, Barcarolo romano, Tanto pe’ canta’. C’è chi ne poteva dir male? Certo! Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri ossia Trilussa che disse peste e corna del festival e della canzone romana su «Il Messaggero» – «Méttece san Giovanni, Faccia fresca/ la spighetta, er garofano coll’ajo/ er bacetto, Le streghe, quarche sbajo/ e fai la canzonetta romanesca» – per poi entrare nella commissione del festival e giudicare i migliori brani.
Elena Bonelli non solo scrive ma canta e suona perché è «La Voce di Roma» e la canzone romana, che ha nel sangue da quando è nata all’ombra del Cupolone, la porta in giro per il mondo dalla Carnegie Hall di New York al Lincoln Theatre di Miami, dalla Turchia all’Angola al Giappone. La sua ambizione è non solo quella di cantare il core de Roma ma di far conoscere la storia della canzone che nasce non casualmente quando Roma è liberata dal Papa-re e unita all’Italia. È qui che la canzone si libera dallo stornello e diventa melodia. In questo senso il libro che va da Balzani a Baglioni, da Venditti a Ultimo è un testo insolito di musica non solo romana o romanesca ma italiana. Il collegamento appare naturale passando da Petrolini a Arrivederci Roma di Renato Rascel, da Il valzer della toppa di Umiliani e Pasolini a Roma nun fa’ la stupida stasera di Trovajoli, Garinei e Giovannini, fino a giungere a Roma capoccia di Antonello Venditti e Porta Portese di Claudio Baglioni e Per le strade di Roma di Francesco De Gregori. Ma questo è solo un accenno di una storia musicale insolita e sorprendente.