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 2021  novembre 05 Venerdì calendario

Intervista ad Agnese Raposelli, la donna che ha battuto i baroni dei concorsi

Dottoressa Rapposelli, alla fine nel Paese dei baroni ha vinto lei: Agnese, a 42 anni, è entrata in università.
«Sì, sono ricercatrice di Statistica economica, dal primo novembre e per i prossimi tre anni. Non riesco a godermela, però. Temo possa accadere ancora qualcosa. La lunga battaglia per ottenere quello che mi spettava mi ha sfibrato, e reso sospettosa. Mi spiace, perché di natura sarei davvero una ragazza nel Paese delle meraviglie».
Lei ha preso un posto da ricercatrice all’Università di Pescara dopo aver contestato i concorsi in cui arrivava sempre seconda. Lo ha fatto per dodici anni. Nell’autunno 2021 l’Ateneo si è arreso, un caso davvero raro.
«Ricordo prima di me cinque, sei colleghi, perlopiù donne. Certo, ottenere il posto di lavoro dopo dodici anni di secondi posti può sembrare un’impresa da guinness».
A che età si è laureata?
«A ventitré anni, li avevo compiuti da quattro giorni. Corso di laurea in Statistica, centodieci e lode. Mi sono anche dottorata giovane e giovane, troppo, mi sono sposata».
Nel 2009, il primo concorso universitario.
«Si faceva con la legge Moratti, arrivai seconda. Sentivo di non meritarlo».
E quindi fece il primo ricorso.
«No, ero troppo giovane e decisamente ingenua. Sentivo parlare di bandi cuciti su misura, non ci volevo credere».
Ha continuato a impilare secondi posti uno dietro l’altro.
«Impressionante la serie, ho iniziato a farmi qualche domanda».
Il primo ricorso al Tribunale amministrativo dell’Abruzzo?
«Ottobre 2017, ricercatore di tipo A, sempre Statistica. Sei mesi e il Tar annullerà gli atti. La commissione indice un concorso successivo e lo vinco io. Un anno e sono dentro».
L’Università, anche quella che ai concorsi nega l’evidenza, resta un luogo stimolante.
«È il luogo della mia anima. A causa delle opposizioni di alcuni baroni spesso ho dovuto fare altri lavori, ma ho sempre saputo che ricercatori e professori sono persone interessanti da cui si impara ogni giorno».
Allora, fine 2017: inizia un periodo in cui si sovrappongono posti da ricercatrice con scadenza, lavori da privati, prove da preparare, nuove sconfitte, nuovi ricorsi.
«Una fatica enorme. In tutto ne ho fatti nove, di ricorsi».
Costa molto fare la ricorrente professionista?
«Costa più in termini psicologici che economici».
Si è sempre presentata all’Università di Chieti-Pescara.
«Sì, ho una figlia di 14 anni, prima liceo scientifico, una secchiona peggio di me. Non ho mai avuto la possibilità di trasferirmi, provare in un altro ateneo. Sui miei ricorsi vorrei dire una cosa».
Prego.
«Sono stati tutti accolti. Questo significa che diversi giudici hanno
sempre trovato irregolari i concorsi in cui arrivavo seconda».
Il Tar le dava ragione con continuità seriale, il dipartimento e il rettore se ne fregavano. Come si sentiva?
«In un vicolo cieco. Ancora lo scorso luglio ero certa che all’università non sarei mai entrata. Non parlavo d’altro, i miei genitori erano travolti dalla mia ossessione. Vivevo con un muro davanti, un ‘no’ senza ragione.
Non lo auguro al peggior nemico».
Una sera ha deciso di entrare dentro il sistema. Ha chiesto un appuntamento al professore ordinario Roberto Benedetti, il gestore dei concorsi del dipartimento.
«La mattina, nel suo ufficio, ho registrato la conversazione con il docente, poi diventata conosciuta grazie all’inchiesta di Repubblica, “Agnese nel Paese dei baroni”».
Il professore le disse che aveva una proposta politica per lei. Era l’ultima, però, se non l’avesse accettata si sarebbe messo contro.
«Io gli rispondevo che l’università italiana è res publica, entra il più bravo e senza favoritismi».
È sempre stata convinta?
«Sì, anche quando ero nel vicolo cieco. Il posto di lavoro in facoltà io lo volevo così, pulito, altrimenti niente. Non è solo una questione personale, se fossi entrata con l’accordo avrei fregato il posto a qualcun altro».
Il prezzo pagato?
«Una quantità di pianti superiore ai concorsi persi, di quelli ho davvero perso il conto. Cliccavo più volte al giorno sulla pagina Albo pretorio, i concorsi pubblici, e quando finalmente arrivavano i risultati io ero sempre al numero 2».
È andata anche in procura.
«Sì, e lì ho depositato la registrazione del colloquio. Lì è rimasta. Temo che se intorno al mio caso non si fosse creato un clamore mediatico, il longform, un videoforum con la ministra Messa, non sarei mai entrata al Dipartimento di Statistica dell’Università di Pescara».