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 2021  novembre 05 Venerdì calendario

Antropologia di un duello ai vertici del Carroccio


A forza di tirarla, la corda si spezza. Ma nessuno meglio di Giorgetti dovrebbe saperlo, anche a sue spese.Era il giugno di dieci anni fa e secondo una festosa consuetudine i leghisti lombardi e piemontesi si erano ritrovati sulle rispettive sponde del Ticino per un grandioso tiro alla fune.Oooh, issa! Oooh issa! Da Sesto Calende, a riscattare la sconfitta subìta nell’edizione 2010, i lumbàrd sembravano stavolta in vistoso vantaggio sulla squadra guidata da Cota e Borghezio. Ma a un certo punto, come nei proverbi, la corda d’acciaio s’è spezzata e dopo il sordo rumore meccanico, ecco che “un forte odore di pelle bruciata”, secondo il puntuale e crudo resoconto di Varese News, ha guastato l’allegra atmosfera fluviale e padana. Trenta i feriti con serie abrasioni e slogature, fra i quali il giovane, ma già ben noto deputato e allora segretario regionale Giancarlo Giorgetti.Metafora delle metafore, fra rotture e impiccagioni, le funi e le corde si dipanano con qualche frequenza nei detti popolari così come nelle faccende umane e quindi anche nella politica. Per tornare alla Lega e all’odierno conflitto che in modo sempre meno strisciante oppone Salvini e Giorgetti ci si limita a ricordare, con sussidio dell’indispensabile Dizionario dei proverbi del Lapucci (prima Le Monnier ora Mondadori), che “non c’è corda tanto lunga che non abbia due capi”. Appunto.Ora, forse sarebbe addirittura possibile, con qualche sforzo unidirezionale, cercare di racchiudere la questione entro motivazioni e argomenti concreti, di linea e di progetto. Ma a parte che spesso l’attualità inganna e le chiacchiere la sovrastano, il vero guaio è che la classe politica è quella che è per cui negli ultimi anni la Lega di Salvini, ma anche di Giorgetti, è stata tutto e il contrario di tutto, federalista, indipendentista, berlusconiana, prima il Nord, poi prima gli italiani, e intanto sovranista, filorussa, quindi europeista, ma a metà, a scartamento ridotto, a geometria variabile e draghiana, e insomma è troppo difficile da prenderla sul serio nelle sue peripezie, di sicuro adesso c’è solo che è spaccata.Di qua Salvini, di là Giorgetti, ma non è detto. Anche lo spessore culturale della diatriba, nel penultimo passaggio incentratosi sulla figura di Bud Spencer, per giunta in pretesa “estrapolazione” da un virgolettato a Vespa, consiglia semmai di affrontare il caso dal punto di vista dei rispettivi caratteri secondo una logica che certo avrà pure ricadute sul governo, ma che in buona sostanza appare di puro potere e fin troppo latente rivalità.Anche il confronto democratico, nella Lega, è povero. Per anni, grosso modo, Salvini ha detto “sono io il capo” e Giorgetti, che lo conosce fin da quando Matteo era un ragazzotto con l’orecchino, gli ha risposto, sornione: «Ok, il capo decide»; sottinteso: ma io resto io. Tale implicita coda, sempre in bilico tra superbia e lealtà, gli ha consentito a lungo di allungare e accorciare le distanze, dissentire sui tempi e sui modi, distinguersi per assenze strategiche, uscirsene con battute e enigmatici sospiri, alzare gli occhi al cielo, mettersi le mani fra i capelli rispetto alle “intemperanze”, salvo rassicurare tutti, “siamo complementari”, per poi ricominciare. Tutto questo ha consentito a Giorgetti di raccogliere riconoscimenti e lodi dai nemici del suo amico leader, che nel frattempo l’avevano individuato e proclamato “moderato”, parola magica che in certi ambienti prelude a ruoli istituzionali.Pure su questa moderazione bisogna intendersi. Se Salvini è passato secondo il suo stile dalle magliette “Padania is not Italy” a gettare le corone di alloro nel Piave fiume sacro alla Patria, Giorgetti, che pure è più sottile e sorvegliato, ha comunque fatto il suo: teorie sul sostituzionismo degli immigrati rispetto ai popoli europei, convivi con il costruttore Parnasi, solidi rapporti con il cattolicesimo tradizionalista, a parte sminuire il ruolo dei cacciatori di petrolio in Russia ed esaltare quello stesso personaggio su cui in privato mostrava dubbi e perplessità. Ma aveva un buon rapporto con Draghi e, come si dice con brusca franchezza, al momento opportuno se l’è giocato.Alla lunga, come accade spesso in Italia, questa altalenante relazione ha cominciato a trasmettere una tale ambiguità da sfociare nel teatro, anzi nella sempiterna e ininterrotta commedia. Vedi la foto agostana dei due dinanzi a un leone dorato a Milano Marittima, davanti al Papeete; ma vedi anche, un po’, l’esito del preteso duello di ieri sera che, tira tira tira, ha impedito che la fune si rompesse. Ma che prima o poi si spezzerà.