il Giornale, 5 novembre 2021
Il Dizionario del bibliomane redatto da Antonio Castronuovo
Cose che contraddistinguono il buon bibliomane, che come è noto non è un uomo di cultura ma solo un maniaco dei libri, e non è la stessa cosa. Primo: accumula libri senza per forza leggerli, anzi. Due: non acquista né conserva, nel caso glieli inviassero gratis le case editrici, i libri che compaiono nella top ten della classifica di vendita, così come nessun amante del vino acquisterebbe una bottiglia delle dieci etichette più vendute della settimana. Tre: tanto meno li legge o ne scrive. Quattro: nel caso gli inviassero/regalassero libri che non gli interessano, ma con dedica autografa, taglia la pagina con la dedica conservandola in una cartelletta (per farne cosa non si sa) e butta il libro. Cinque: i libri che decide di non conservare li offre a un bouquiniste barattandoli di solito nel rapporto 20 a 1, ossia: venti libri nuovi inutili in cambio – ad esempio – di un vecchio titolo dei «Quaderni della Medusa» (1935-1967), quelli con la copertina rosso-arancio. Sei: non presta alcun libro ad alcuno, neanche ai figli (semmai gli dà i soldi per comprarselo). Sette: i libri li dispone assolutamente a caso, secondo logiche ed estetiche del tutto sganciate da qualsiasi concetto di utilità, perché le librerie devono essere belle, non comode. Otto: ruba molti libri. Nove: mai farsi prendere dal dubbio sul fatto di comprare o meno un libro, nel primo caso non ci si pentirà mai, al massimo lo si rivende, nel secondo si rischia di rimpiangerlo per tutta la vita. Dieci: la propria biblioteca non va donata post mortem, tanto meno a un’istituzione pubblica, ma regalata al figlio più degenere che la svenderà al peggior offerente, concedendosi – alla memoria del genitore – una sontuosa vacanza caprese.
Ma perché un simile – personalissimo – decalogo?
Così, senza motivo. È solo uno degli effetti indiretti della lettura dell’opulento Dizionario del bibliomane (Sellerio) redatto da Antonio Castronuovo: lucano, saggista, traduttore, studioso di scienze anomale e patafisica nonché strepitoso uomo di libri e di editoria.
Autore record dei «Millelire» e bibliofilo da migliaia di libri, Castronuovo ha catalogato – avvalendosi di una ricchissima bibliografia – tutte le ossessioni, le frenesie, i capricci, le irragionevoli stramberie, i morbi, le fobie e i vaneggiamenti ma anche i piaceri, le soddisfazioni, i diletti, gli appagamenti, le conquiste e le passioni smodate che nel primo caso affliggono, nel secondo ricompensano le varie tipologie dei biblio-dipendenti: bibliofili (non è grave), bibliomani (un po’ sì), bibliolatri (molto), bibliofagi (senza speranze), bibliocasti (oggi molto presenti fra i fan della cancel culture), blibliotafi (coloro che seppelliscono i libri, sono rari ma ci sono) e bibliorfani, ossia coloro che soffrono della compulsiva inclinazione ad abbandonare il libro dopo averne lette poche pagine, se non una sola. E siamo di fronte alla categoria migliore, visto che si tratta spesso di patologia indotta, la cui responsabilità è da ascrivere più alla qualità del libro che al lettore.
Comunque.
Antonio Castronuovo ha costruito un monumento di carta, aere perennius, a tutte le follie libresche, librarie, libridinose, e – perché no? libertine: si vedano le voci «Sesso occulto» e «Sozzerie e oscenità». Film di riferimento: Librido caldo.
Dalla «A» di «Abbigliamento», voce che insegna come vestirsi quando si va a caccia di rarità per librerie antiquarie, mercatini e bancarelle (mai essere troppo eleganti, il venditore alzerebbe il prezzo: gli esempi storici riportati sono parecchi) alla «Z» di «Zyklon» (può suonare angosciante, ma ancora negli anni Novanta il famigerato agente fumigante era in commercio come gas insetticida per la disinfestazione di mobili e libri aggrediti dai tarli), l’indispensabile Dizionario del bibliomane di Castronuovo mette in fila aneddoti stravaganti, episodi al limite del credibile (del resto si parla di libri, gli oggetti meno ordinari inventati dall’uomo), personaggi degni di romanzi (appunto) e domande imbarazzanti, tipo: «Li hai letti tutti?» (alcune risposte le diede già Umberto Eco) o «Che senso ha affastellare libri che nella stragrande maggioranza dei casi saranno toccati sì e no ogni quindici anni?», detto ovviamente da chi non ne prende in mano uno da venti.
E per il resto, tra le 225 voci del sovrabbondante Dizionario ci sentiamo di segnalare, a mo’ di antipasto, i lemmi «Arredamento», in cui si cita la pratica del book planter, cioè l’estrarre con una taglierino un cubo di polpa cartacea dal cuore di un volume per collocarvi un po’ di terriccio con una piantina (speriamo marcisca); «Comunismo cartaceo», sull’orrida moda – per fortuna al tramonto – del book sharing, e chissà perché sono sempre giallacci e romanzetti di terza linea; «Maschilismo»: ma perché sono sempre le donne a distruggere per vendetta la biblioteca dell’ex marito, e mai il contrario?; «Morire su/tra i libri» (da leggere assolutamente); e «Utensili», breve ma non inutile rassegna di tutti gli impieghi alternativi dei libri: per stabilizzare tavoli, come fermaporte, a mo’ di pressa... basta non leggerli.