ItaliaOggi, 5 novembre 2021
In Germania sempre più diffusi i Repair Cafès
Il primo frigo che ricordo nella mia infanzia era un Fiat. Rimase in funzione fin quando andai all’università. Mia madre dovette eliminarlo perché le guarnizioni in gomma stavano andando in polvere, ma il motore era sempre in funzione. Le guarnizioni sarebbero costate poche lire ma non era possibile comprarle. I frigoriferi moderni hanno una vita media di cinque anni. Tutti gli elettrodomestici sono programmati per rompersi entro una data prestabilita, altrimenti come potrebbe sopravvivere la società dei consumi? Tempo fa chiamai il mio mago dei computer, un polacco. La mia stampante non funziona, gli dissi, comprane un?altra e portamela a casa. Prima vengo a controllarla, rispose. L’aprì, girò una rotellina, e riprese a stampare. Doveva sopravvivere fino a un certo numero di copie, mi spiegò. L’aveva riportata indietro nel tempo, e la stampante era tornata in vita. Televisori, forni a microonde, lavatrici, lavastoviglie, si guastano e non conviene ripararli. Costa meno comprare un apparecchio nuovo, e i vecchi vengono buttati.
Uno spreco di materiale, e un pericolo per l’ambiente. Quanta energia occorre per fabbricare un elettrodomestico, o un cellulare? E la crisi provocata dal Covid costringe a risparmiare, ha spiegato Wolfgang Heckl, docente di fisica, 63 anni, direttore dal 2004, del Deutsches Museum di Monaco. È autore di un bestseller, Die Kultur der Reparatur, titolo che fa anche rima e che non occorre tradurre. Quando apparve la prima edizione nel 2013 i Repair Cafés in Germania erano un’ottantina, oggi sono oltre un migliaio. Heckl è considerato il padre della cultura della riparazione a tutti i costi. Si cerca di salvare non solo per risparmiare, ha spiegato il professore, ma anche per ragioni affettive: siamo attaccati a un’auto o a un mobile perché appartengono alla nostra vita. Al Deutsches Museum c’è un reparto per le riparazioni, ha raccontato, e tempo fa è venuta una coppia anziana con un mobiletto porta giornali che aveva una gamba rotta. «Volevano salvarlo, perché era un regalo del marito alla moglie, subito dopo le nozze mezzo secolo fa», ha detto alla Süddeutsche Zeitung. Io sono affezionato alla mia vecchia Rolleiflex 6X6, ottenevo foto stupende e potevo scegliere il tempo e l’apertura del diaframma. Non funziona perché si è usurata una rotellina, e comunque è difficile trovare la pellicola, e un laboratorio che voglia svilupparla. Ora basta usare il telefonino, ottengo immagini soddisfacenti anche di notte, quando con la Rollei avrei dovuto usare il cavalletto. È un’altra cosa. Fa tutto il cellulare, come vuole, senza il mio intervento.
Heckl 45 anni fa comprò la sua prima auto, una Fiat 127, e anche il manuale per riparare le auto, un fai da tè. «Allora era normale» ha affermato, «adesso è diventato più complicato, o quasi impossibile. C’è molta elettronica in un modello di oggi, ma i costruttori non divulgano i dati necessari per le riparazioni. Per qualunque problema bisogna andare alla casa madre». «Il libro di Heckl ci ha spinto a aprire il nostro Repair-Cafè», ha detto Frau Brigitte Tischler, «i nostri riparatori sono una ventina e lavorano gratis per passione, si paga solo il materiale. Molti sono diplomati e grandi professionisti». Aggiustano un ferro da stiro o restaurano un gioiello antico, magari di scarso valore con pezzi di vetro che sembrano brillanti, ma che è appartenuto alla madre o alla nonna. Nel Cafè di Frau Tischler si riesce a salvare almeno la metà degli elettrodomestici portati dai clienti. Nella scomparsa Germania Est, gli elettrodomestici erano rari e si riusciva a ripararli costruendo i pezzi di ricambio a mano.
Il primo centro di riparazioni a Monaco fu aperto nel 2012, ora sono diverse decine, e nella Rudolf-Steiner-Schule dal 2016 è stato creato un corso per insegnare agli studenti come cercare di riparare da soli quel a cui si tiene, come rilegare un vecchio libro che va a pezzi o la radiolina a transistor. «È importante per i ragazzi imparare a usare le proprie mani», ha dichiarato la sociologa Claudia Munz, «si ritrova fiducia in se stessi, e si impara a non sprecare, a non buttare qualcosa che potrebbe ancora servire».