Corriere della Sera, 4 novembre 2021
Basta un’alga per rigenerare i mari. Lo dice la nipote di Couteau
Mio nonno sarebbe deluso nel vedere come l’uomo ha ridotto l’oceano, ma sarebbe anche molto curioso delle tecnologie che ci permetteranno di trovare nuove soluzioni». Alexandra non era ancora nata quando nonno Jacques-Yves Cousteau vinse la palma d’Oro a Cannes con il documentario Il mondo del silenzio. Poi, però, con il leggendario Comandante del Calypso ha passato abbastanza tempo per essere colpita dalla sua stessa passione: il mare. E raccoglierne l’eredità ambientalista.
Come lui, è un’ottimista. Alexandra Cousteau, che oggi ha 45 anni, sostiene che bisogna smettere di «disperarsi, di gridare alla catastrofe», e iniziare invece a guardare alle soluzioni «naturali» per contrastare il cambiamento climatico, salvando subito gli oceani. «Troppo a lungo sono stati ignorati dai negoziati sul clima. È incredibile, perché gli oceani producono ossigeno, regolano le temperature e il clima della Terra, sono la casa di centinaia di migliaia di specie e hanno assorbito il 95 per cento del calore provocato dalle emissioni di CO2». Non sono mai stati così caldi e così acidi, almeno da quando si possono misurare temperatura e pH dell’acqua. Non solo, Alexandra avverte che nessuno può prevedere per quanto tempo potranno continuare ad «immagazzinare» anidride carbonica e calore. Se smettessero o, peggio, se cominciassero a restituire CO2 all’atmosfera, il pianeta smetterebbe di essere vivibile.
Cousteau, però, non è e non vuole essere una catastrofista e si è messa in testa, assieme al marito e al biologo spagnolo Carlos Duarte, non soltanto di proteggere ma addirittura di rigenerare gli oceani. E con loro le barriere coralline agonizzanti, che «rappresentano appena l’1 per cento della superficie degli oceani ma da cui dipende un quarto di tutte le specie marine». La parola «conservazione» per la nipote di Cousteau è fuori moda. La sua missione è ripristinare l’abbondanza dell’oceano entro il 2050, a partire dall’agricoltura oceanica e dalla coltivazione di kelp, un’alga bruna che cresce sulle sponde degli oceani. È una delle varie «Nature Based Solutions» diventate tema emergente ai tanti tavoli negoziali di COP26.
Si tratta perlopiù di progetti per la cattura di CO2 attraverso metodi naturali ma altamente tecnologici, promossi da governi e grandi Ong, tramite cui poi le aziende possono compensare le proprie emissioni sul mercato del carbonio. «Per de-acidificare, ossigenare e sequestrare la CO2 degli oceani, lo strumento migliore sono le coltivazioni di alghe», assicura Alexandra che, alla guida del progetto Oceans 2050 sta sostenendo migliaia di coltivatori di alghe sparsi nel mondo e le loro fattorie marine. «Stiamo verificando come inserire questo sequestro permanente di CO2 nel “carbon market”, esattamente come chi oggi pianta alberi o cresce foreste sulla terraferma ottiene crediti economici. È la più grande opportunità che abbiamo per affrontare l’acidificazione degli oceani. Crea economia, dà cibo e tantissimi altri prodotti, dal bio-diesel ai cosmetici, mentre rigenera gli oceani e aiuta nella lotta contro il cambiamento climatico».