la Repubblica, 4 novembre 2021
Un’anticipazione de La nuova manomissione della parole di Gianrico Carofiglio
Scrive Benedict Anderson che le nazioni sono comunità immaginate. Qualunque collettività politica di grandi dimensioni non può fare affidamento sulle interazioni dei suoi membri nella vita reale per creare un senso di complessiva coesione sociale: occorre l’immaginazione delle persone, la loro percezione di avere un’identità comune. È tramite la creazione di un immaginario comune, dalle vittorie calcistiche agli eventi di cronaca, tramite l’invenzione di tradizioni e simboli comuni, che si creano e mantengono comunità politiche di grandi dimensioni.Un immaginario comune è necessario per generare coesione sociale e un senso di solidarietà. Sapere che un’identità comune è fatta di storie condivise è liberatorio e ci permette una continua evoluzione. E non solo in politica: tutta la storia della nostra specie – si può dire – è fatta di storie. Lo mostra benissimo Yuval Noah Harari in Sapiens. La rivoluzione cognitiva che ha permesso all’ Homo sapiens di avere la meglio sulle altre specie animali è consistita proprio nella capacità di elaborare e raccontare storie, nell’attitudine a costruire metafore. Le storie – dalle leggende delle antiche religioni ai racconti biblici, ai miti della società di massa – tengono insieme le grandi collettività umane e permettono imprese che sarebbero impossibili senza la capacità di raccontare il passato e di immaginare il futuro.In un analogo orizzonte concettuale, Martha Nussbaum ha sostenuto che “l’immaginazione narrativa” è una dote fondamentale del cittadino di un Paese democratico. È la capacità di immaginare storie diverse dalla nostra, immaginare come vive chi è diverso da noi. Un popolo, nella sua accezione democratica, è formato da persone che capiscono di avere cose in comune e molte non in comune, che possono immedesimarsi o sentire solidarietà per l’altro, anche se estraneo, lontano, diverso da loro. Le storie ci danno gli strumenti per immaginare come sia essere altro da noi: in questo modo, esse alimentano l’empatia, che è elemento e funzione necessaria dell’essere cittadini, dell’immaginarsi parte di una comunità di persone drasticamente diverse e insieme profondamente simili. In un saggio intitolato L’identità culturale non esiste, François Jullien ha messo in luce una differenza importante fra ciò che è uniforme e ciò che è comune: è ciò che è comune ad avere un’accezione politica. «È a partire da questo concetto che i Greci hanno concepito la Città. A differenza dell’uniforme, il comune non è il simile (…). Ed è proprio questo il nodo cruciale dei nostri tempi, qualunque sia la scala del comune che viene presa in considerazione – della Città, della nazione o dell’umanità: soltanto se promuoviamo un comune che non sia riduzione all’uniforme, il comune di questa comunità sarà attivo, creando effettive opportunità di condivisione».Una collettività politica si unisce intorno a ciò che ha in comune: storie, valori condivisi, simboli, più o meno inclusivi. Non richiede uniformità di vedute, ma riconoscimento di ciò che è comune: cioè di quello che la rende comunità. La differenza tra uniforme e comune permette di concepire la democrazia come un’ agorà in cui si confrontano punti di vista discordanti e non una sola verità, non un’unica “volontà popolare”. La tolleranza come pratica intellettuale e politica parte dalla consapevolezza che la stessa realtà materiale e sociale viene osservata da diversi punti di vista. Da ciò derivano percezioni, rappresentazioni e sistemi di credenze molto diversi fra loro, ma tutti muniti di elementi di verità di cui occorre tenere conto nella discussione pubblica.Scriveva John Stuart Mill che le dottrine in contraddizione, invece d’essere l’una vera e l’altra falsa, si dividono la verità. L’opinione dissidente è necessaria per fornire il resto della verità di cui la dottrina comunemente ammessa non possiede che una parte. La verità, nei grandi interessi pratici della vita, è soprattutto una questione di combinazione e di conciliazione degli estremi.Un concetto non dissimile fonda la riflessione sui dissoi logoi — i discorsi contrastanti – della tradizione sofistica, imperniati sulla necessità di imparare a difendere una tesi e il suo esatto contrario. È un’idea modernissima, che nel corso dei secoli è stata molto travisata. Il principio, ancora una volta, è che non esiste un singolo depositario della verità, che in ogni punto di vista ci sia una parte di ragione, che sia necessario imparare a cogliere il segmento di verità che c’è in qualsiasi discorso. Di questa impostazione va oggi valorizzata soprattutto la prospettiva etica: la percezione del valore della tolleranza, il senso del limite, l’accettazione della pluralità.Il popolo omogeneo, monocratico e immaginario del discorso populista è la clava di ogni autoritarismo, più o meno palese, più o meno mascherato. È una nozione incompatibile con l’idea di libero dibattito, di dubbio, di discussione, di pluralismo, che è la linfa vitale della democrazia. Compatibile, anzi coerente con l’idea di pluralismo – e molto meno esposto a “manomissione”, della nozione di popolo – è il concetto di comunità. Intorno a esso gravitano parole come solidarietà, uguaglianza, tolleranza. La parola, analizzata alla luce della sua etimologia, presenta una feconda ambiguità, proprio come il termine manomissione.La parola “comunità” risale al latino communis, parola formata da cum e munus ( munus significa dovere, ufficio in nome e in favore della collettività: ma anche regalo, elargizione gratuita, dono).La comunità è dunque il luogo dei doveri verso la collettività, ma anche dei doni: cose e gratificazioni che si ricevono al di fuori di un rapporto di scambio. Di sinallagma, come direbbero i giuristi. Entrambi gli elementi alludono a una dimensione di gratuità; si sarebbe portati anzi a dire: gratuità solidale. In questa assenza di corrispettività (che invece caratterizza le teorie del contratto sociale), nell’alternanza fra doni (ciò che si riceve gratuitamente dagli altri) e doveri (ciò che si fa gratuitamente per gli altri) si colloca il potenziale del concetto di comunità, la sua capacita di contenere la prospettiva di un futuro diverso, di possibilità diverse.