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 2021  novembre 04 Giovedì calendario

Intervista a Stella McCartney


GLASGOW — Stella McCartney è estasiata dai reperti di Lipari del IV secolo a.C. custoditi nel maestoso Kelvingrove Museum di Glasgow: «Che meraviglia!». Ma questa è Storia. Poi c’è il futuro, quello della moda, che la 50enne stilista inglese, figlia di Paul e Linda Mc-Cartney, ostinata vegana e anima-lista, s’intesta da tempo. Non a caso, il suo nuovo progetto si chiama “The Future of Fashion” e a dominare sono i funghi, di qui la “pelle” alternativa delle borse esposte. Perché i « mushrooms sono straordinariamente eco-sostenibili».Ieri a incensarla sono venuti Leonardo DiCaprio e il principe Carlo, che non cambia un paio di scarpe dal 1971 e che con McCartney ha da sempre un obiettivo comune: rendere la moda sostenibile. E così, “The future of fashion”, presentata a margine del vertice sul clima Cop26, propone la “pelle” sostenibile Mylo ricavata dal micelio dei funghi, cotone rigenerativo “Sökta?”, nylon “Evrnu” di NuCycl ed Econyl da rifiuti e plastica negli oceani. Questa è Stella McCartney. Anzi, la sua rivoluzione.E ci sono anche i primi scarpini da calcio vegani, giusto?«Sì, li abbiamo realizzati con Paul Pogba, il calciatore».Anche lui ambientalista?«Molto. Ci siamo conosciuti tramite Adidas durante il lockdown, su Zoom. Sapete di cosa sono fatti i normali scarpini di calcio?».Di pelle?«Di canguro! Pensi che atrocità. Ho prodotto anche delle scarpe “Stan Smith” eco-sostenibili. E sia chiaro...»Che cosa?«Questi stivali che indosso non sono di pelle! E per questo vestito verde di viscosa ogni volta piantiamo un albero in Svezia. Ci ho messo tre anni a finanziare il progetto, sostenibile al 100%».Pelle e pellicce andrebbero vietate nella moda?«Assolutamente sì, per legge. Sono inutili, inquinano e costano».Ma anche i vestiti e gli accessori di Stella McCartney costano ancora troppo per le persone “normali”.«È vero. Ma la qualità ha un prezzo. Farò ancora di più per ridurre i costi al dettaglio. Ma i governi devono aiutarci: non si possono dare centinaia di miliardi di sussidi ai settori di carne e pesce e a noi della moda niente. E poi deve cambiare la mentalità».In che senso?«Abbiamo troppa roba. Dobbiamo possederne meno, ma di qualità.Come già fanno molti attivisti, tocca utilizzare più spesso gli stessi vestiti e comprare di seconda mano. La “fast fashion” a poco prezzo, che tra l’altro produce anche in Cina (28% delle emissioni mondiali, ndr), provoca danni stratosferici al pianeta, e genera miliardi di dollari di spreco ogni anno».Ma come è nato il suo fervido ambientalismo?«Sono cresciuta in una delle prime fattorie organiche d’Inghilterra, i miei genitori mi hanno iniziato al veganesimo e ho avuto la fortuna di viaggiare molto con loro: presto ho capito che nel mondo tutto era connesso. Sin da ragazzina ho amato la moda, e mi son detta: “Non posso essere certo un’ipocrita”».Anche il Principe Carlo è uno straordinario ambientalista. Fino a qualche anno fa qualcuno lo prendeva persino in giro per questo.«Ci ridevano tutti dietro. Anzi, quando a cena rifiutavo la carne c’era chi s’infuriava. Come se rubassi loro un diritto».E che cosa è cambiato nel frattempo?«La scienza ci ha dato ragione, ha dimostrato i danni dei principali stili di vita: l’area di un campo di calcio sparisce ogni minuto dall’Amazzonia. Uccidere gli animali genera il 18% di gas serra nel mondo. Il futuro della moda e del pianeta è vegano».È fiduciosa sull’esito della Cop26?«Al G7 ero rimasta delusa: parlando con i leader dei danni provocati dalla moda tradizionale, ho capito che non ne sapevano niente! In questa Cop, invece, mi pare ci sia molta più consapevolezza. Poi certo, alle reception ancora servono carne e pesce... C’è tanta strada da fare. Anche nella moda».Difatti lei è una dei pochi stilisti affezionati all’ambiente...«Ma si convertiranno anche gli altri, si fidi. Altrimenti, presto saranno terribilmente fuori moda».