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 2021  novembre 04 Giovedì calendario

La Bosnia teme un’altra guerra


BELGRADO«Molti di voi non hanno alcuna idea di quale inferno stiamo vivendo, noi bosgnacchi», i bosniaci di religione musulmana, «ho paura per la mia famiglia, mi si para continuamente davanti agli occhi la guerra». Così scrive Selma Jahic, sopravvissuta al genocidio di Srebrenica. Non sono parole tratte dalle pagine di un libro di storia sul conflitto del 1992-95. Quello di Selma è invece un grido di dolore attuale per la Bosnia-Erzegovina di oggi, postato in questi giorni su Twitter assieme a tantissimi altri, di simile tenore.Allarmi che non appaiono infondati. La conferma è arrivata in questi giorni dall’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, il tedesco Christian Schmidt, arbitro che vigila sul rispetto degli Accordi di pace di Dayton. Il Paese balcanico sta affrontando «la più grave crisi» della sua storia recente, ha denunciato Schmidt in un rapporto per il Consiglio di sicurezza Onu. Non solo. Ci sarebbe pure il rischio «reale» di una disgregazione del Paese, se non di un ritorno al conflitto. La colpa maggiore, ha denunciato Schmidt, andrebbe attribuita a Milorad Dodik, coriaceo leader nazionalista della Republika Srpska (Rs) – entità politica serbo-bosniaca che assieme alla Federazione croato-bosgnacca compone il Paese – e membro serbo della presidenza tripartita. Dodik, dall’estate scorsa, ha dato il la a una escalation di sfide di cui non s’intravede la fine. La miccia, la promulgazione da parte del predecessore di Schmidt, Valentin Inzko, di una legge che punisce il negazionismo del genocidio di Srebrenica, è letta da Dodik – ma anche da Belgrado e Mosca – come un pretesto per colpevolizzare l’intero popolo serbo. Da lì, è partito un crescendo di ritorsioni. Prima il boicottaggio da parte dei serbo-bosniaci delle istituzioni centrali di Sarajevo. Poi, l’annuncio della futura creazione di organismi serbo-bosniaci autonomi in ambito di tassazione, giustizia, sanità e persino difesa, mosse interpretate da molti come il preludio a una secessione di fatto.Forze armate serbo-bosniache, separate dall’esercito federale multietnico, possono essere create «nel giro di qualche mese», ha avvisato Dodik. Le spinte secessionistiche serbo-bosniache sono «fonte di grande preoccupazione per la Ue», ha ammonito ieri anche Bruxelles. Ma Dodik – che si vanta di godere dell’appoggio di Mosca – non fa ancora marcia indietro. E tanti, in Bosnia, temono che dalle parole si passi ai fatti.Tanti come Ahmed Hrustanovic, un altro sopravvissuto al genocidio, colpito dalle similitudini di questi giorni con il 1991. «Non avrei mai pensato di poter rivivere le stesse paure di 25, 30 anni fa», ha ammesso sui social. «Quando penso che si potrebbe permettere la formazione di un nuovo esercito serbo-bosniaco mi vengono in mente solo i fucili puntati contro i nostri bambini» durante l’ultima guerra, il messaggio di Emir Suljagic, direttore del Memoriale di Srebrenica. «Se continuano con i piani di secessione e di creazione dell’esercito, la guerra non è impossibile», conferma la stessa Selma Jahic.Paure che hanno basi concrete? «Se la Bosnia si spacca per azioni unilaterali, è possibile che ciò porti a un nuovo conflitto, perché se collassa Dayton» cade l’impianto su cui si regge la Bosnia, spiega Srecko Latal, editor del portale Birn. «Ma che forme potrebbe assumere il conflitto è un tema diverso. Non è poi una cosa dietro l’angolo, non si parla di giorni o settimane e non è inevitabile», sempre che Usa e Ue capiscano «che sarà molto difficile risolvere i problemi» dopo anni in cui i Balcani sono stati dimenticati. Tutto è il risultato del «fallimento della prospettiva dell’allargamento» Ue, conclude Latal. «Credo che la situazione possa rientrare nel momento in cui Dodik si renderà conto che, a livello internazionale, l’appoggio concreto che può ricevere nella sua intransigenza secessionistica verrà meno, in primis da Belgrado» e per l’intervento di Ue e Usa, getta invece acqua sul fuoco Giorgio Fruscione, esperto di Balcani e politologo all’Ispi. E poi, in Bosnia, è «nell’interesse ultimo delle parti mantenere costante la minaccia del conflitto. Ma non di portarlo avanti fino alla fine». La speranza è che sia così, anche questa volta. —