Corriere della Sera, 3 novembre 2021
Aurora boreale sulla Alpi. Un alpinista l’ha fotografata
«Avevo quasi raggiunto la cima, a 3.350 metri, ai piedi del canalone che porta in vetta, quando le prime luci dell’alba hanno squarciato il buio della notte, regalandomi uno spettacolo mai visto prima in trent’anni di ascensioni». Marco Confortola, alpinista di Valfurva, il «cacciatore di Ottomila», undici quelli già conquistati, ha colto l’attimo irripetibile: l’aurora boreale sul Gran Zebrù, massiccio del gruppo Ortles-Cevedale, al confine tra la Lombardia e il Trentino Alto Adige.
Lunghe strisce rosate che sfumano nell’arancione regalando una sorta di danza del cielo. «Aurora polare», il termine scientifico, dovuta alla tempesta geomagnetica che nel fine settimana appena trascorso ha investito l’Europa.
Ma questo Confortola lo ha scoperto solo dopo, quando lo scatto pubblicato sui social è diventato virale. «Che si trattasse di qualcosa di speciale però l’ho compreso subito», racconta l’alpinista valtellinese, che considera il Gran Zebrù la sua palestra di allenamento, tanto da aver raggiunto la cima della vetta più di trecento volte, la prima quando aveva solo otto anni. Per lui semplice quasi come salire le scale, nonostante la grave amputazione di parte dei piedi subita nel 2008, dopo essere sopravvissuto alla tragedia del K2 quando per il distacco di un seracco persero la vita undici alpinisti. «Ho scattato la fotografia alle 7.04 di domenica mattina, sette minuti dopo la magia era già svanita – spiega Confortola —. È stata un’emozione fantastica, che ho letto quasi come un dono che lo spirito del Gran Zebrù ha voluto farmi. Un brivido mi ha percorso la schiena e sono rimasto immobile davanti allo spettacolo della natura, alla lezione che ancora una volta ha saputo darmi».
Ho fatto la foto alle 7.04 di domenica, sette minuti dopo la magia era già svanita. Emozione fantastica
La partenza alle quattro e trenta assieme all’amico Giovanni, dopo quasi tre ore di ascensione il cielo ad accendersi di colori irripetibili. «E dire che di albe e tramonti incredibili ne ho visti moltissimi. Gli alpinisti assomigliano un po’ ai marinai. Ci si mette in marcia di notte, prima che l’innalzarsi delle temperature renda l’escursione pericolosa, il buio, gli animali selvatici, un mondo spesso sconosciuto che da sempre accompagna il mio cammino. Però mai avrei immaginato di vedere l’aurora boreale sulle Alpi».
Un piccolo risarcimento dopo la delusione questa estate quando la spedizione per conquistare il suo dodicesimo Ottomila, il Gasherbrum I in Pakistan, si è fermata a 7.700 metri di quota. «Non c’erano le condizioni, e la vita viene sempre prima di tutto. È la filosofia di ogni scalata», prosegue Confortola, che è anche guida alpina, tecnico di elisoccorso e docente durante gli incontri nelle scuole per il progetto «Allenarsi per il futuro». Oltre che appassionato fotografo. Tra gli scatti un selfie appeso alla long-line dell’elicottero con cui nel 2017 sul Dhaulagiri a 7.300 metri di quota ha partecipato con una équipe italiana alla missione di soccorso per salvare sette alpinisti. Senza dimenticare i volti dei bimbi himalayani. L’emozione più grande, però, l’ha provata proprio sulla montagna di casa.