Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 03 Mercoledì calendario

La voglia matta di presidenzialismo


No, non è solo voce dal sen fuggita la sortita del ministro dello Sviluppo economico e vicesegretario della Lega Giorgetti, che in un’intervista contenuta nell’ultimo libro di Vespa si è augurato Draghi al Quirinale per realizzare un “semipresidenzialismo di fatto": nominare a Palazzo Chigi un suo uomo di fiducia, forse il ministro dell’Economia Franco, e continuare in realtà dal Colle a dirigere la politica nazionale e la realizzazione del Pnrr. Tra Camera e Senato, sono in tanti a pensarla così, specialmente tra i deputati e i senatori che temono di non essere rieletti, e vogliono a qualsiasi costo arrivare alla fine della legislatura, non foss’altro che per maturare la pensione.
L’idea che una riforma di tale importanza, a cui tra l’altro puntava anche il progetto Renzi-Boschi sconfitto nel referendum costituzionale del 2016, possa realizzarsi “di fatto”, senza cioè passare da un voto del Parlamento e da una successiva verifica nelle urne da parte degli elettori, sarebbe tale da far fare salti sulle sedie ai professori e ai costituzionalisti che guidarono cinque anni fa il vittorioso fronte del “No”, in difesa del sistema parlamentare. E in un certo senso è sorprendente che a parlarne sia stato Giorgetti, componente di quel “comitato dei saggi” per le riforme, con cui Napolitano cercò invano di colmare il vuoto apertosi dopo l’ultimo tentativo fallito di Grande Riforma. A meno che proprio Giorgetti, che da tempo si lascia andare all’amarezza per la gravità della malattia che ha colpito la politica, non pensi che la soluzione “di fatto”, ben diversa ovviamente da quella “di diritto”, sia l’unica strada percorribile, per evitare che l’elezione del successore di Mattarella si risolva in una specie di guerra civile in Parlamento, bruciando una dopo l’altra tutte le candidature possibili, e costringendo alla fine i capi dei partiti a rivolgersi a Draghi come ripiego o come “uomo della provvidenza”. Due ipotesi che il premier, di fronte ai fumi della battaglia inutile che s’annuncia, difficilmente potrebbe accettare.
Non sarebbe la prima volta, tuttavia, che in Italia si parla di “semipresidenzialismo": un sistema, va ricordato, in uso in America e in Francia, dove tuttavia il Capo dello Stato è eletto dai cittadini e nomina un depotenziato capo del governo. Agli inizi della crisi della Prima Repubblica, infatti, ben prima del tonfo finale del ‘93, era divenuto così chiaro che il sistema istituzionale fosse ormai paralizzato e ingovernabile, che i due principali partiti di governo, Dc e Psi, proposero di cambiare modello. Scegliendo rispettivamente il cancellierato alla tedesca (De Mita) e il presidenzialismo (o semipresidenzialismo) alla francese (Craxi). Ma non se ne fece niente. Un po’ per la fortissima opposizione del Pci (Berlinguer), e un po’ perché Craxi, divenuto presidente del Consiglio nel 1983, aveva inaugurato una nuova prassi di governo basata sul “decisionismo”. Che i suoi alleati democristiani, addirittura paragonandolo a Napoleone, ribattezzarono subito “bonapartismo”. E i suoi avversari comunisti arrivarono a definire, in modo volutamente eccessivo, “pericoloso per la democrazia”.
Oggi per fortuna nessuna accusa del genere viene rivolta a Draghi, che sta governando con polso sicuro per tirar fuori il Paese dall’emergenza. Anche se di tanto in tanto, come accadeva anche a Conte, qualcuno lo accusa di non tener nella dovuta considerazione il ruolo del Parlamento. Che Draghi avrebbe più di una difficoltà a realizzare il “semipresidenzialismo di fatto” di cui ha parlato Giorgetti, è evidente. La Costituzione elenca in modo preciso i poteri del Presidente della Repubblica; e l’estensione che ne è stata fatta, in condizioni particolari, da Scalfaro, Ciampi e Napolitano, è stata sempre considerata, giustamente, eccezione alla regola. Quanto a Cossiga, per aver parlato, esagerando, ma non sempre, il linguaggio della verità sulla crisi della Repubblica, fu costretto alle dimissioni. Le riforme si fanno o non si fanno. I surrogati rischiano di trasformarsi in toppe peggiori dei buchi.