La Stampa, 3 novembre 2021
Salah, anatomia di un fondamentalista
Ricomincia a Parigi, e speriamo che sia l’inizio definitivo, il processo per la strage del Bataclan, che ha fatto 130 morti. Il principale imputato è un kamikaze sopravvissuto, il quale a chi gli chiedeva il perché di quella strage rispondeva: «Senza alcun motivo personale». Noi italiani abbiamo avuto una vittima in quella strage, Valeria Solesin, e la madre di Valeria voleva andare a Parigi per chiedere al kamikaze che ha ammazzato alla cieca senza motivi personali: «E allora perché?». Vuol sapere ciò che tutti vogliamo sapere: «Le 130 vittime per voi non sono persone, sono metafore di quello che odiate». Il terrorista che ha fatto la dichiarazione sulla mancanza di motivi personali si chiama Salah Abdeslam, e io credo che abbia parlato con sincerità. Con quelle parole ha detto perché, a quale condizione, è possibile fare una strage, non solo quella strage ma ogni strage: non devi odiare le vittime, non devi nemmeno conoscerle, devi odiare ciò che rappresentano. E ciò che rappresentano dev’essere il più possibile diverso e lontano da te. Se tu ti senti umano, loro devi sentirle come non-umane. È l’eterna giustificazione dell’eterno odio verso i nemici, in tutte le guerre, anche italiane, europee o americane. Senza motivi personali è più facile uccidere, e più facile ancora se l’altro non neanche una persona. In Vietnam i nemici eran «musi gialli», in Giappone semplicemente «scimmie». Vedere o intuire aspetti umani nel nemico spegne la volontà di combatterlo e di ucciderlo, lo rende un possibile fratello. Alla fine di «Orizzonti di gloria» i soldati francesi in licenza costringono una ragazzina tedesca prigioniera a cantare, e la piccola canta una dolce canzone di Natale: è pericolosissimo, quei soldati non torneranno più in trincea feroci come prima. Non saranno più nemici che uccidono nemici, saranno uomini che uccidono uomini. Il loro comandante, impersonato da Kirk Douglas, li guarda allarmato, perché dubita che adesso ubbidiranno agli ordini come prima. Noi non dobbiamo sapere che i nemici hanno un Natale dolce e commovente come il nostro. Non devono avere figlioletti o fratellini, una madre, una casa, un cane, un gatto. Quelle son cose che abbiamo noi, che siamo pienamente umani. In Ernst Jünger un soldato tedesco in trincea ascolta i rumori della trincea nemica (cioè italiana), sono rumori di vita, parole rumori risate, ma quella vita a lui appare «oscena ed enigmatica», cioè animalesca e irrazionale. Solo se la vita nella trincea nemica ti appare oscena, cioè sconcia e indegna dell’uomo, puoi uccidere chi vive quella vita, e se ti appare enigmatica puoi convincerti di non uccidere uomini ma esseri astrusi, irragionevoli e incomprensibili. Cara madre di Valeria Solesin, gli assassini di sua figlia ai quali vuol parlare non potranno mai risponderle, perché non conoscevano sua figlia, né alcuno degli altri 130 che hanno ucciso: di sua figlia, se l’avessero conosciuta, avrebbero potuto anche innamorarsi, era così bella! Loro volevano colpire la Francia, la società, la civiltà francese, il modo di vivere, lo stare insieme di uomini con donne, la discoteca, che loro non hanno e non ammettono. Per essere sicuri di uccidere uomini diversi da loro, gli bastava andare in discoteca, e colpire alla cieca. Nella strage che adesso finalmente va sotto processo non c’è niente di personale. È stata una guerra impersonale. Le guerre impersonali non lasciano rimorso. E solo il rimorso potrebbe riscattare gli uccisori di Valeria. Senza rimorso, sono e saranno sempre imperdonabili. —