La Stampa, 3 novembre 2021
Intervista a Guido Maria Brera
«Tre gradi in più di temperatura globale ci fanno perdere 9 punti di Pil a livello mondiale. È come se ogni anno dovessimo sopportare i costi di una nuova pandemia» avverte Guido Maria Brera. «Il G20 di Draghi? Un grande successo, è stato fondamentale aver fatto comprendere a tutti che la strada da battere è quella del multilateralismo, perché un Paese da solo non può risolvere questi problemi. Il premier ci ha insegnato che chi controlla le parole controlla le cose e ora, grazie al premier, entriamo in una nuova era».Brera, manager e scrittore, «per cercare di smuovere le coscienze», assieme al rapper J-Ax ha appena realizzato 4 podcast che si possono scaricare gratuitamente su tutte le piattaforme. Il titolo è Metallaria, e questo già dice tanto: sa già di aria pesante, irrespirabile. «Il mio è un grido disperato – spiega –. Su clima e inquinamento occorre decidere, e bisogna farlo in fretta».La Pianura padana, Milano e le altre grandi città, l’inquinamento e le polveri sottili, perché partire da qui?«Il gesto che noi facciamo, più volte al giorno, è respirare; e l’aria oggi è un qualcosa che fa male a tutti, in particolar modo ai più deboli. In un Paese evoluto i danni che fa l’aria inquinata sono danni incalcolabili in termini di vite umane. È nella Pianura padana che si respira l’aria più contaminata d’Europa e qui si trovano undici delle venti città europee più inquinate. E se guardiamo a Milano, ad esempio, secondo la rivista Lancet a causa delle polveri sottili abbiamo circa 3.900 morti premature all’anno, che è come se cadessero sulla città sei Boeing 747 ogni anno. Ma se davvero cadessero sei Boeing l’anno su Milano credo che avremmo un problema da prima pagina tutti i giorni».E invece?«Siccome il tema è invisibile, la tendenza è quella di sottovalutarlo. Ma è un tema enorme, con ricadute anche in termini sociali, dalle famiglie che si devono spostare perché i loro figli non riescono a stare a Milano perché non ce la fanno a respirare, ed economici. A partire da tutti i costi che gravano sulla sanità pubblica, tanto più ora che post Covid è così gravata. Parlo di tutta la Padania ma anche delle principali città italiane, è ovvio che nella Pianura padana il problema è gigantesco».Eppure clima, inquinamento, transizione ecologica oggi sono ben presenti nelle agende dei governi.«Il nostro è un urlo disperato. Nei podcast parliamo di vite vissute, poi ascoltiamo esperti che mettono in correlazione la gravità del Covid col livello di polveri e di inquinamento delle città, parliamo con pediatri e con esperti di malattie cardiovascolari e tumorali. Tutto questo perché non è mai stata fatta abbastanza luce sulla strage invisibile e silenziosa che provoca l’inquinamento specie in una conca come la Padania».Come valuta le conclusioni del G20 sul clima?«Draghi ha fatto il massimo. Siamo riusciti a far comprendere che anche sul clima la politica da adottare è quella del multilateralismo e che tutti quanti devono fare la loro parte. È molto importante che sia passato questo concetto: è fondamentale, è una grande conquista del nostro premier. A partire dell’accordo di Roma adesso si tratta di costruire una soluzione che guardi avanti, certo non si poteva pretendere di risolvere col G20 tutti i problemi che pone il climat change. Ma si è capito che siamo all’ora o mai più».Che si aspetta adesso dalla Cop26 di Glasgow, si potranno fare passi avanti? Non sembra facile.«Credo che fino a quando non prenderemo coscienza di cosa sta succedendo, fin quando non ci spiegano le conseguenze di ciò che sta accadendo, non solo sulla salute pubblica ma anche quelle sociali ed economiche, sicuramente non troveremo terreno fertile per scelte coraggiose».Quindi?«Bisogna cambiare le coscienze generazionali. Per questo ho fatto i podcast, per contribuire a smuovere le coscienze. Non bisogna chiedersi se la Cop 26 riuscirà o meno a trovare un accordo sul clima, perché ci si deve riuscire. Però, se torniamo alla Padania, il problema dell’inquinamento ce lo stiamo creando noi, non lo importiamo come nube tossica dall’estero, e noi possiamo benissimo provare a risolverlo».Si discute tanto di nucleare, quello pulito, di quarta generazione. Pensa possa agevolare la transizione ecologica?«Sì, ma la cosa che più è importante secondo me sono tutte le tecnologie capture carbon, il fossile non si riuscirà ad azzerare nel breve e moltissimo si può fare su catturare la Co2 emessa e immagazzinarla riconvertendo in parte pezzi di economia».La transizione ecologica costerà all’Italia ben 650 miliardi di euro nei prossimi 30 anni. Le imprese sono molto preoccupate.«Il passaggio va fatto in modo graduale e inerziale. È evidente però che in questi costi non si calcolano le esternalità positive, che sono sempre state taciute negli ultimi vent’anni, e mi riferisco sia a quelle positive sia a quelle negative. Si parla dei costi della transizione ecologica ma non si parla dei costi dello status quo, quelli che stiamo pagando oggi per il livello inquinamento e quelli prodotti dal climate change. Vorrei vedere anche quelli nel computo e non li vedo mai. Anche i costi del climat change sono altissimi, per questo occorre agire in fretta e agire bene a partire dagli investimenti, e in questo campo ambiente e imprese devono convergere».Comunque stiamo parlando di un impegno che equivale a due manovre-Draghi l’anno per 10 anni.«È un costo alto, certo, ma è un costo che dobbiamo tutti pagare per non pagarne uno infinitamente superiore». —