Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2021
Grano, prezzi mai così alti in Europa
Cresce l’allarme sui rincari del grano, che dopo cinque mesi consecutivi di rialzi ha ormai raggiunto livelli di prezzo superiori a quelli che un decennio fa scatenarono rivolte del pane in numerosi Paesi del mondo, facendo da innesco per la Primavera araba. A Chicago le quotazioni nella seduta di ieri hanno superato 8 dollari per bushel per la prima volta dal 2012, mentre in Europa si sono spinte addirittura ai massimi storici: il record, registrato sulla piazza di Parigi, è di 297 euro per tonnellata per il contratto di dicembre, riferito al grano tenero da macina, usato in panificazione.
Quanto al grano duro, destinato soprattutto alla produzione di pasta, le tensioni sono ancora più forti. Nei pochi Paesi in cui viene coltivato (tra i principali ci sono l’Italia, che però non è autosufficiente, e il Canada) il clima sfavorevole ha fatto crollare le rese nell’ultima campagna, con forti ripercussioni non solo sui prezzi di vendita – che ormai superano 550 euro sulle borse merci della Penisola – ma addirittura sulla disponibilità di materia prima, che si teme possa scarseggiare: un rischio che è stato più volte denunciato – fin dall’estate scorsa – da Italmopa, che rappresenta l’industria molitoria italiana, e da altre associazioni della filiera agroalimentare. Il grano duro in Italia è rincarato solo da inizio luglio di oltre l’80%, mentre l’aumento è del 135% rispetto ai valori medi degli ultimi cinque anni.
L’impennata dei prezzi solleva gravi rischi anche di stabilità sociale per il Nord Africa, regione in cui il grano duro viene utilizzato per il cous cous e che ha una forte dipendenza dall’estero per le forniture di cereali. L’Egitto in particolare, maggiore importatore di grano al mondo, è in difficoltà e sta valutando se ritoccare al rialzo il prezzo sussidiato del pane. Sarebbe la prima volta dal 1977.
Come per molte altre materie prime (alimentari e non) il rally del grano trova spiegazione in una lunga serie di cause concomitanti. Tra le principali c’è senza dubbio il clima avverso, che ha ridotto l’offerta in un momento di forte domanda. Ma a soffiare sul fuoco dei rincari ci sono anche politiche protezioniste – in particolare da parte della Russia, il primo fornitore mondiale di grano, che dopo un raccolto deludente sta applicando tasse sempre più alte sull’export – e un aumento generalizzato dei costi produttivi e della logistica, che non risparmia l’agricoltura.
I prezzi dei fertilizzanti in particolare sono saliti a livelli da primato e si stanno verificando difficoltà di approvvigionamento, legate (in particolare in Europa, per i nutrienti azotati) alla fermata di impianti di produzione dovuta al caro gas.
Per il grano – quello duro in particolare, ma non solo – i problemi maggiori sono comunque da imputare al clima, o forse sarebbe meglio dire: al cambiamento climatico. Periodi di grave siccità o di piogge torrenziali hanno rovinato i raccolti in diverse aree del mondo. La situazione più estrema riguarda probabilmente il Canada, dove l’estate scorsa la colonnina di mercurio è arrivata a superare 40 gradi: temperature anomale, che hanno provocato gravi danni alle coltivazioni di grano duro, di cui il Paese è primo esportatore. Ottawa stima un crollo di produzione addirittura del 46% (a 3,5 milioni di tonnellate) e l’export si sta assottigliando in proporzione, rischiando di lasciare vuoti i magazzini dei pastifici italiani.
Anche la produzione tricolore, che non riesce a soddisfare più del 60-70% del nostro fabbisogno, è diminuita quest’anno. E quella degli Usa, altro fornitore chiave, è addirittura ai minimi dal 1961.