il Giornale, 3 novembre 2021
La musica al ritmo di Sgalambro
Col senno di poi, il crollo della cattedrale di Noto, avvenuto il 13 Marzo del 1996, fu provvida sventura, poiché il mondo ne fu colpito e da esso scaturì la rinascita. Nel Maggio del 96, tuttavia, a Noto, la situazione era ancora drammatica e il concerto che Manlio Sgalambro e Franco Battiato misero in scena di fronte ai ruderi del duomo ci commosse.
Intervistando Sgalambro, di cui conoscevo misantropia e nichilismo per averlo già incontrato dopo l’uscita del suo Dell’indifferenza in materia di Società – chiesi perché avesse firmato un manifesto per Noto e, addirittura, partecipasse a un concerto di beneficenza. Il filosofo non si scompose. «La professione d’indifferenza dichiarò – è cosa diversa dal singolo atto, che si può fare e sembri avere contenuti. L’azione etica per eccellenza, con Kant, è priva di motivazione personale». Senza mutare d’espressione, aggiunse poi che Schiller, sfottendo Kant, diceva: «A volte mi capita di far del bene agli amici, dunque sono immorale».
Insomma, firmava e recitava pure, in quanto da entrambe le azioni non avrebbe tratto un utile personale. Non per nulla veniva da Lentini, patria di Gorgia
In realtà, Sgalambro era animale da palcoscenico e non disdegnava lo scherzo.
Due anni prima, nel gennaio del 94, aveva pubblicato col piccolo editore catanese De Martinis, il pamphlet Contro la Musica. Da questo libro erano nati la grande amicizia e il sodalizio artistico con Franco Battiato. Presto il filosofo si sarebbe avviato verso una brillante carriera di paroliere e interprete, che lo divertiva molto.
Oggi, quasi trent’anni dopo, Carbonio ripropone il testo (pagine 59, euro 9), con la novità di un’affettuosa e divertente prefazione della figlia Elena. Da cui si apprende, ad esempio, che papà era appassionato di western e, con tre figlie in macchina, percorreva spesso la circonvallazione di Catania, individuando con precisione i massi di pietra lavica dietro i quali si erano appostati i nemici indiani. Stava alle bambine abbatterli a colpi di winchester, attraverso i finestrini; a lui, guidare superando incolume l’agguato
Sgalambro giocava anche con le parole, raggiungendo a volte altezze da vertigini. Accade in Contro la musica, che si sviluppa kantianamente, cioè col più difficile e insuperato padre del pensiero occidentale, provando a costruire una critica dell’ascolto, per cui assolutamente occorre un ethos dell’ascolto. «Un rozzo ascoltatore si è impadronito della musica. Senza ethos, essa lo segue ipnotizzata e sprigiona suoni dai suoi stessi fan. Dalle loro orecchie spalancate suona quella stessa musica che essi vogliono ascoltare».
La sgalambriana critica dell’ascolto non segue le leggi della musica, ma sottopone l’ascolto a leggi, a un ethos, appunto, il quale consiste in precise regole di vita.
Se la musica una volta si andava ad ascoltare, oggi è il contrario: è la musica che si fa ascoltare.
«Oggi la musica non ha altra origine che l’ascolto perché essa può contare sull’ascoltatore come strumento inconsapevole». Essa non suona più strumenti musicali, ma i suoi ignari ascoltatori.
«Chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo».
Dice Elena che, di fronte a una granita, il filosofo esclami: «per ora, la fine del mondo è rimandata».