Il Messaggero, 3 novembre 2021
La stella dell’Nba Rui Hachimura soffre di depressione
Imprecisati motivi personali che, con il megafono del tempo che passa senza notizie ulteriori, diventano problemi di mental health, salute mentale. Depressione e stress non risparmiano nemmeno se sei un colosso di 203 centimetri e 104 chili. Rui Hachimura, ala giapponese dei Washington Wizards, è passato dalle luci scintillanti della cerimonia inaugurale di Tokyo 2021, dov’è stato portabandiera del suo Paese, al tunnel degli attacchi di panico. Che lo ha risucchiato. Così tutto ciò che l’Nba sa di lui attualmente è nella nota di fine settembre, nella quale i Wizards annunciavano che avrebbe saltato il training camp. Poi sono arrivate le amichevoli e del giapponese ancora nessuna traccia. E anche adesso che la stagione è partita da due settimane le uniche notizie che si hanno di lui riguardano il fatto che abbia ripreso ad allenarsi. Da solo. E, stando ad alcune fonti, di notte.
Hachimura sarebbe uscito a pezzi proprio dai Giochi. Il Sol Levante del basket alle Olimpiadi mancava da Montreal 1976 e i risultati dei test di preparazione autorizzavano sogni importanti. Ma a Tokyo erano arrivati tre ko in tre match. E Hachimura, che pure aveva fatto il suo, è finito nel mirino degli haters. Il primo sintomo del suo malessere è arrivato dai social: su Instagram ha smesso di seguire tutti. Al momento, a destra della voce following, figura un 1, la pagina Black Samurai legata a uno sponsor. Poi ponti tagliati con tutti. E silenzio. Al di là di un video pubblicato da uno dei suoi marchi, l’ultimo post pensato risale al 18 agosto. Da lì si sarà scatenato l’odio social che lo ha fatto crollare. Potrà sembrare strano che un idolo locale possa diventare bersaglio della sua stessa gente, ma il punto è proprio questo. Quello di una gente che non si sente sua, di lui. Rui ha mamma giapponese ma papà del Benin. Ha la pelle scura. E questo nel Giappone che si evolve tecnologicamente ma non troppo ideologicamente non è necessariamente un segno di integrazione. È diventato il bersaglio per il suo essere – secondo gli haters – poco giapponese. In un percorso umano che lo rende simile a Naomi Osaka, la campionessa di tennis che ha avuto l’onore di accendere il braciere a Tokyo e che, come lui, non è apprezzata da una parte del suo Paese. Padre haitiano, madre nipponica, pelle scura e casa negli Usa. Troppo, secondo alcuni, per vederla come un’icona nazionale. E non è un caso che Naomi sia stata una delle prime, negli ultimi mesi, a sollevare il tema della depressione tra gli atleti. Resterà nella storia il suo ritiro dal Roland Garros dopo aver disertato una conferenza per l’ansia del confronto con i media. E, da allora, è stato tutto un alternarsi di match e pause dal campo per ritrovare la stabilità. Che Simone Biles ha perso e più o meno ritrovato durante i giorni a Tokyo. L’icona della ginnastica americana, schiacciata dalle aspettative, si è ritirata dalle gare olimpiche salvo rientrare nella trave per prendersi un bronzo che in altri tempi avrebbe avuto il sapore del fallimento. Nel caso di Simone l’ansia si era trasformata nei famosi twisties, «i demoni nella testa», che le facevano perdere l’orientamento durante i salti.
Ma stress e depressione non sono problemi solo degli altri. Anche il nostro Federico Burdisso aveva rivelato di soffrirne, sempre a Tokyo, dopo il bronzo nei 200 farfalla. E, da Federica Pellegrini alla pugile Irma Testa è lungo l’elenco dei nostri atleti che in diverse fasi della carriera hanno dovuto fare i conti con l’ansia. L’ultima a rivelarlo, Paola Egonu, stella del nostro volley. Per tutti è stata una fase. Lo sarà anche per Rui, ma quando la fase si chiuderà, al momento, non è nemmeno ipotizzabile.