Da www.ibs.it, 2 novembre 2021
CHI HA INCASTRATO MARADONA? - IL LIBRO DI MARCELLO ALTAMURA, "L'IDOLO INFRANTO", RIPERCORRE GLI EVENTI CHE PORTARONO ALLA SQUALIFICA DEL CAMPIONE ARGENTINO DOPO LA PARTITA NAPOLI-BARI DEL 1991 - IL PROCESSO LAMPO, L'ATTEGGIAMENTO PASSIVO DI FERLAINO, LE PROVETTE CON I CAMPIONI DI URINA CHE NON ERANO CHIUSE ERMETICAMENTE - IL TRASPORTO E LA CONSERVAZIONE DELLA PRIMA PROVETTA AVVENUTI IN MANIERA DIVERSA DA QUELLA PRESCRITTA DALLA PROCEDURA E QUEI CONTENITORI ARRIVATI DAL BRASILE CON UNO STRANO TEMPISMO… -
Questo libro getta una luce sui tanti misteri irrisolti degli anni napoletani di Diego Armando Maradona: dall’estate del 1984, con la presentazione trionfale allo stadio San Paolo (oggi intitolato a lui), alla primavera del 1991, con la fuga solitaria, di notte in una macchina scura, verso Roma, Fiumicino, l’Argentina. Ciò che è successo in quelle sette stagioni è nella storia dello sport. E, in parte, in quella giudiziaria.
Ma molto è ancora da chiarire, e Marcello Altamura, fra i massimi esperti di Maradona e giornalista di razza, in questo libro indaga a fondo nella vita di Diego, in quella Napoli e in quel Napoli: l’esistenza sregolata del campione, i suoi vizi, i suoi contatti con la malavita; un «sistema calcio» capace di fingersi cieco e sordo finché c’è da spremere, e all’improvviso severo e moralista quando il succo è finito. Che cosa è successo davvero?
L’idolo infranto è un’inchiesta rigorosa, che però si legge con l’emozione del thriller e l’indignazione di chi, tifoso e no, vuole riscattare la memoria del più grande giocatore di ogni tempo. È la storia di un uomo dalla generosità debordante e dai numerosi difetti, circondato da «amici» ma tremendamente solo. Dotato di un talento incredibile, è diventato un idolo per milioni di persone: un idolo che qualcuno, come spiega Marcello Altamura, ha provato ad abbattere.
2 - ESTRATTO DEL LIBRO "L'IDOLO INFRANTO - CHI HA INCASTRATO MARADONA" DI MARCELLO ALTAMURA
I GIORNI DEL GIUDIZIO Il primo provvedimento è l’immediata sospensione dall’attività agonistica per violazione dell’articolo 32 del Codice di giustizia sportiva, «per aver prima della gara Napoli-Bari assunto cocaina, sostanza vietata dalle vigenti disposizioni in materia». Un’accusa che non lascia speranze e che tuttavia è imprecisa. Perché la cocaina, Maradona, non l’ha mai assunta per migliorare le prestazioni sportive.
E infatti, lo abbiamo già visto, quello di Maradona è un processo lampo, concluso il 6 aprile 1991 con la squalifica per 15 mesi. Una sentenza attesa, non solo Italia.
I giornali argentini riportano di contatti del presidente della Federcalcio Matarrese con Grondona, il suo omologo argentino, e Havelange, presidente della FIFA. Diego intanto rompe il silenzio: mi hanno sottoposto a 25 antidoping ma perché proprio l’ultimo è risultato positivo? L’obiettivo è raggiunto: Maradona stava pagando il conto.
UNO STRANO PROCESSO Davvero non si poteva far nulla per difendere Maradona dall’accusa di doping? L’avvocato Vincenzo Maria Siniscalchi era il legale del campione e fu presente anche al processo sportivo: "Quello che mi colpì e che mi rimane impresso dopo tutti questi anni è l’atteggiamento del Napoli in udienza. Mi sarei aspettato che il club facesse carte false per difendere Diego, il suo giocatore più forte, il capitano della squadra. Invece, nulla, il Napoli partecipò al processo in maniera acquiescente. È solo una mia sensazione, sia chiaro, ma mi venne da pensare che fosse indifferente alla sorte del calciatore".
Maradona è difeso anche dal professor Giovanni Verde, docente universitario di Diritto civile e successivamente membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Il professor Verde ricorda molto bene il processo del 1991: "Sono stato il legale di Maradona in tutta la vicenda doping e la mia difesa era basata su un fatto preciso, e cioè che i residui di cocaina trovati nelle urine dell’atleta risalissero ai giorni precedenti la partita.
Questo rappresentava la prova che la droga non era stata assunta dal calciatore per migliorare o alterare le prestazioni sportive ma per uso personale slegato rispetto alla sua attività. Una tesi che in effetti fu accolta nel giudizio e infatti Maradona fu condannato non per doping ma per la slealtà sportiva e tutto sommato ebbe una pena lieve, il minimo previsto per casi del genere. Ricordo che il professor Donike aveva insistito sulla questione dei macchinari e delle provette ma il collegio non la considerò particolarmente".
Il professor Manfred Donike, direttore del laboratorio antidoping di Colonia, massimo esperto mondiale in questa materia, è uno dei periti di parte di Maradona, insieme al professor Angelo Fiori. Riletta oggi, a trent’anni di distanza dai fatti, la loro relazione è un’anatomia del complotto che incastrò Maradona.
Donike, infatti, sottolinea che la provetta di Diego contenente l’urina usata per le controanalisi, quelle decisive per la squalifica, non era chiusa ermeticamente: i sigilli di piombo si potevano sfilare e richiudere tranquillamente. Una condizione, questa, che avrebbe potuto come minimo esporre a un rischio di inquinamento i campioni.
Ma non è tutto: Donike e Fiori scrivono anche che il trasporto e la conservazione della prima provetta, quella cioè contenente l’urina di Maradona prelevata dopo Napoli-Bari, sono avvenuti in maniera diversa da quella prescritta dalla procedura. Il secondo campione, quello utilizzato per le controanalisi, sarebbe stato conservato meglio. Impossibile qui non pensare alle accuse di Gianni Minà anche per una notizia curiosa, riportata da La Gazzetta dello Sport il 9 marzo 1991 in breve: "Nuovi contenitori antidoping. La Figc li importa dal Brasile".
Dunque, con tempismo perfetto, la Figc introduce nuovi contenitori per i flaconi d’urina dei calciatori proprio otto giorni prima di Napoli-Bari. Il trafiletto parla di una striscia di plastica per sigillare i flaconi, mentre nella relazione Donike e Fiori parlano invece di sigilli di piombo. Le provette contenenti l’urina di Maradona sono diverse da quelle federali? Le corrette procedure non sono seguite sin dall’inizio del controllo?
Nella relazione di Donike e Fiori c’è anche dell’altro. Confrontati, i risultati dei due esami dell’urina di Diego sono diversi. Nel primo test, infatti, si parla solo di cocaina, nel secondo di cocaina e dei suoi metaboliti. I due controlli sono stati eseguiti con metodiche e tecnologie diverse, circostanza sufficiente per invalidarli del tutto. Non solo: in sede di controanalisi, il professor Donike chiede di effettuare una gascromatografia per stabilire proprio la corrispondenza tra il risultato dei due test.
Nella relazione, si mettono a confronto gli esiti dei due test e si evidenzia che le tracce di cocaina e dei suoi metaboliti non sono costanti, sembrano apparire per poi scomparire e infine riapparire nell’ultimo esame, quello decisivo. Come può essere? Nella relazione, i periti parlano di «possibile contaminazione della colonna», cioè di una componente del macchinario utilizzato per effettuare le analisi. Torniamo nel laboratorio del Coni all’Acqua Acetosa, dove siamo entrati all’inizio della nostra storia. Donike e Fiori, dopo le controanalisi, confermano tracce di cocaina, chiedono un test di prova su un campione ‘pulito’, cioè non appartenente a Maradona. Incredibilmente, anche questo segnala tracce di cocaina. Com’è possibile?