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 2021  novembre 02 Martedì calendario

Il boom dei Manga

Nell’ufficio in cui ho incontrato tante volte Enzo Biagi, al primo piano della libreria Rizzoli in Galleria a Milano, ora c’è il reparto dedicato ai fumetti manga. In tutte le grandi librerie, ciascuno può verificare, cresce la dimensione attribuita all’esposizione di una quantità infinita di queste storie disegnate che nascono in Giappone e in Corea. Esistono pubblicazioni manga per ogni gusto: ogni sport, ogni avventura, ogni scelta sessuale. Ci sono la Divina Commedia manga e l’opera omnia di Lovecraft.
I librai, eroi della cultura, raccontano che il fenomeno ha conosciuto un’impennata in questi mesi, che i loro punti vendita sono affollati da ragazzi di quattordici o quindici anni che, approfittando anche del basso prezzo, ne comprano molti e spesso. Alcuni direttori di libreria mi hanno detto che il settore ormai arriva a costituire quasi il trenta per cento del loro fatturato.
È un male, è un bene? Queste pubblicazioni hanno ovviamente una doppia caratteristica: si leggono, per noi occidentali, al contrario e i fumetti richiedono che si vada da destra a sinistra. Le storie sono sempre intrise di una violenza parossistica e perciò irreale ma c’è chi scorge, nella struttura narrativa, una critica ai modelli formativi giapponesi fondati esclusivamente sull’agonismo sociale e, in generale, una sollecitazione alla dimensione comunitaria come risposta alla società violenta che viene evocata e sublimata.
La rivista Wired ha scritto di uno di questi fumetti: «Il “gioco” di Dead Tube, manga di Mikoto Yamaguchi e Tota Kitakawa, riposiziona l’intento critico per aggiornarlo ai tempi dei social (edizioni J-Pop). Un sito web permette agli utenti di caricare video dai contenuti violenti ed espliciti. Ogni settimana, chi accumula più visualizzazioni ha l’opportunità di vincere 10 milioni di yen. Ma chi perde è costretto ad assumersi la responsabilità, il costo e la pena di qualsiasi danno o crimine compiuto dal vincitore. Così, quando il timido studente Machiya e il suo club scolastico di cinefili si ritrovano coinvolti nel concorso, si rendono ben presto conto che l’escalation verso la violenza e la perversione sono inevitabili. La critica si concentra sulla ricerca della fama, a tutti i costi, sui social network».
È in fondo positivo che dei ragazzi varchino, spesso per la prima volta, la soglia di ingresso di una libreria. Cominceranno dai manga e forse – ma i librai dicono che già è così – scopriranno per questa via altre storie, altri testi, altri paesaggi.
Ma questa considerazione sul fenomeno manga, in atto da tempo ma ora esploso, si salda alla registrazione del successo planetario della serie coreana Squid Game, un vero fenomeno, e alla passione per la musica K-pop. A Roma, a Campo de’ Fiori, i ragazzi si ritrovano la sera per bere Jimin Coffee, una bevanda ispirata a una omologa coreana, e ballare sulle note della musica di una boy band di quel Paese, i Bts. I quali, peraltro, cantano rigorosamente in inglese. Un loro brano, Dynamite, ha più di un miliardo di ascolti su Spotify. Un miliardo.
Forse su questo vale la pena di riflettere. Nell’immaginario delle generazioni precedenti il riferimento principale erano gli Stati Uniti. I loro spazi, i loro linguaggi, la loro visione del mondo – conquista e opportunità – hanno informato sogni e riferimenti di generazioni che hanno associato quel mondo, con le sue icone, all’evoluzione della libertà individuale e collettiva. Il jazz, Americana di Vittorini, M.L.King, Bob Dylan...
Ma anche l’America, nel grande flusso dei suoi segni, non risparmiava la violenza. Quella vera, dei bombardamenti al napalm o degli assassini politici e quella cinematografica di Rambo o delle previsioni catastrofiche del futuro. La violenza occidentale non è migliore di quella orientale. Ciò che è migliore è l’idea che la democrazia e la libertà sono sempre preferibili a qualsiasi sistema autoritario, di ogni colore. Quell’idea gli Stati Uniti hanno presidiato sempre, a partire dalla loro magnifica Costituzione per proseguire con le croci bianche in Normandia o a Nettuno. Quando non l’hanno fatto, come in Vietnam, hanno trovato dentro di sé gli anticorpi per reagire ed emendarsi.
Non dobbiamo aver paura del Vento d’Oriente. Né pensare a improbabili censure. D’altra parte la globalizzazione ha allargato i confini del conoscibile e ha fatto entrare altre culture a contatto con la nostra. Non è un male, se sapremo presidiare anche di fronte a creature occidentali, come i social, i valori fondamentali del nostro vivere civile: il pluralismo, il rispetto dell’altro da sé, il rifiuto della guerra e del terrorismo come strumento di regolazione dei conflitti. Il dubbio contro l’odio, il dialogo contro la violenza. Non è scontato che tutto questo sia certo, nel tempo di caos che viviamo.
Mai dare per scontata la libertà.
Non ho un giudizio definitivo sul fenomeno culturale in corso. Forse mi inquieta, ma non mi indigna. Non sempre il passato che abbiamo conosciuto è migliore del presente. Se i Camaleonti non erano peggiori di Luciano Tajoli, forse i Måneskin non sono peggiori dei Camaleonti.