la Repubblica, 2 novembre 2021
Intervista a David MacMillan (che ha vinto il Nobel e perso mille euro)
«Ma quale Nobel, lasciatemi dormire!»: David MacMillan, premio Nobel 2021 per la chimica insieme a Benjamin List, fino all’ultimo, nella notte degli annunci da Stoccolma, ha creduto di essere vittima di uno scherzo. E invece era tutto vero. La sua ricerca su come rendere più efficienti ed ecologiche le reazioni chimiche – usando molecole organiche a base di carbonio invece dei metalli e composti tossici che vengono oggi usati come catalizzatori – è stata riconosciuta cruciale per un futuro più “verde”.
Come ha saputo di aver vinto il Nobel?
«Ero a letto. Il mio cellulare, sul comodino, inizia a vibrare. Era Benjamin List: “Ehi Dave, abbiamo vinto il Nobel!”. Io rispondo: “No Ben, è uno scherzo. Ci stanno prendendo in giro”, lo saluto e chiudo. Ben allora continua a tempestarmi di messaggi, ma io rispondo: “Poco fa qualcuno dalla Svezia mi ha mandato uno sms, ma con il mio cognome tutto sbagliato. Quelli del comitato del Nobel sembrano gente precisina: possibile che non riescano a scrivere correttamente il mio nome? Sarà qualche buontempone, invece”. Lui insisteva, allora gli ho scritto: “Uffa, scommetto mille dollari che è uno scherzo. E ora torno a letto”. Però poi ho cercato sul web e ho visto che avevamo vinto davvero. Mai stato così contento di aver perso mille dollari».
Quando ha capito, in gioventù, che la scienza sarebbe diventata la sua vita?
«In realtà non sono stato io a capirlo, ma la mia famiglia. Da ragazzo tutto quello che volevo fare era giocare a calcio. Ero un discreto centrocampista. Vengo da una famiglia proletaria: mio padre operaio siderurgico, mia madre domestica (MacMillan è nato a Bellshill ed è cresciuto a New Stevenston, città nel North Lanarkshire, in Scozia, ndr ). Non solo nessuno in famiglia era mai andato all’università, ma nemmeno conoscevamo persone laureate. Mio fratello fu il primo: si iscrisse a fisica.
In famiglia si discusse molto, non sembrava una buona idea. Però notammo che mio fratello al suo primo lavoro dopo la laurea – presso un laboratorio di laser – guadagnava già più di mio padre che era operaio da trent’anni. Così i miei genitori mi obbligarono a fare l’università».
Lei all’inizio scelse fisica, come suo fratello, perché?
«A me la fisica piaceva. Ma le lezioni iniziavano di prima mattina, e la Scozia in inverno sa essere molto fredda: nella grande aula di fisica la pioggia gocciolava sui banchi per il tetto malmesso, e si gelava per gli spifferi. Le lezioni di chimica invece erano in un altro edificio, caldo e comodo, e le lezioni non iniziavano prima delle dieci. Dopo un anno così, ho deciso: “Mi sa che diventerò un chimico”. Poi il colpo di fulmine: quando abbiamo iniziato a studiare chimica organica. Molti la trovavano ostica, io capivo tutto al volo, per me era naturale come mangiare o bere».
Quindi è quello il suo momento
“sliding doors”?
«Ce n’è un altro. Il mio primo anno al college fu difficile per me: in quegli anni le persone della mia estrazione sociale non andavano al college.
Avevo ottimi amici, lì. Ma faticavo ad ambientarmi.
Allora di tanto in tanto cercavo lavoro. Una volta mi chiamarono per un posto di cameraman alla Bbc. Al colloquio risultai pessimo.
Oggi posso dir e: per fortuna».
Qual è stato il suo momento “Eureka”?
«Nel mio primo anno da professore alla University of California di Berkeley, un giorno uno studente mi fece una domanda.
Iniziai a scrivere la risposta sulla lavagna, ma mi fermai a metà perché quella formula mi fece venire in mente, per analogia, la soluzione a un problema più grande: come ottenere catalizzatori organici. Così interruppi la spiegazione e usai la lavagna per fermare quell’idea improvvisa prima che evaporasse».
Come ha iniziato a interessarsi ai catalizzatori organici?
«Durante il post-dottorato a Harvard, dovevo usare per molte ore al giorno gli isolatori: sono quei contenitori dotati di lunghi guanti protettivi per manipolare sostanze delicate o pericolose. Quei guanti sono molto scomodi e fanno sudare. Così vagheggiavo l’idea di una chimica più “pulita”, che facesse a meno di tutte quelle protezioni».
Qual è il bello della chimica?
«Una cosa che molti ignorano è che esistono miliardi di composti che potrebbero esistere e non sono mai esistiti. La cosa straordinaria è che puoi prendere un quattordicenne, portarlo in laboratorio e lì, in meno di 24 ore, potrà costruire una molecola che non è mai esistita prima in tutto l’universo».
Cosa è cambiato di più nella sua vita da quando è Premio Nobel?
«Ricevo centinaia di messaggi, e sono tutte persone che vogliono felicitarsi e raccontarmi la loro storia. Alcune di queste sono buffe, altre sono commoventi: ogni giorno mi capita di piangere due o tre volte. Ho detto a mia moglie che è come quando, da bambino, ti svegli ed è il giorno di Natale: ecco, dopo il Nobel mi sembra che sia Natale tutti i giorni, perché quando vado al pc vedo tutte queste cose uniche e diverse che la gente vuole raccontarmi».