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 2021  novembre 02 Martedì calendario

A settant’anni dalla morte di Einaudi


Moriva sessant’anni fa Luigi Einaudi, il grande economista e uomo politico piemontese che fu il primo presidente eletto della Repubblica italiana. Era nato a Carrù, in provincia di Cuneo, il 24 marzo 1874. A soli 14 anni aveva perso il padre, concessionario per la riscossione delle imposte. Questo non gli impedì di proseguire con successo negli studi, frequentando il liceo classico e poi Giurisprudenza a Torino dove si laureò nel 1895 con una tesi economica su La crisi agraria dell’Inghilterra. Era un segnale di quella che rimase una costante della sua vita, l’anglofilia (scrisse addirittura un bel saggio, Anglofili e germanofili, in cui rivendicava l’appartenenza alla prima categoria) che si dimostrò nella scelta dei suoi numi tutelari intellettuali, Adam Smith e John Stuart Mill, e collaborando con l’Economist fino all’entrata in guerra dell’Italia nel 1940.Giovanissimo, a soli 24 anni cominciò a insegnare all’Università di Torino, a 28 anni diventò professore straordinario di Scienza delle Finanze a Pisa e poi Torino e successivamente e contemporaneamente alla Bocconi di Milano. Nello stesso periodo iniziava la sua collaborazione a La Stampa che interromperà nel 1903 per passare al Corriere della Sera di Albertini.Nel 1919 venne nominato senatore del Regno, carica cui non rinuncerà nemmeno durante il fascismo, votando contro l’invasione dell’Etiopia e le infami leggi razziali. Nel 1935, incoraggiato da Benedetto Croce, prestò giuramento al fascismo per poter conservare la cattedra a Torino e continuare il suo insegnamento eterodosso rispetto a quello del regime, caduto il quale venne nominato rettore dell’Ateneo sabaudo per poi essere immediatamente cacciato dopo l’8 settembre. Con l’invasione tedesca e la nascita della Repubblica di Salò, riparò in Svizzera dove divenne uno dei punti di riferimento della diaspora antifascista.Dopo la liberazione Einaudi fu eletto all’Assemblea Costituente, nominato ministro del Tesoro e delle Finanze, poi del Bilancio e infine Governatore della Banca d’Italia, dove stabilizzò la lira nel periodo postbellico. È del 1948 la sua elezione a Capo dello Stato, carica che ricoprì con grande equilibrio ma anche difendendone le prerogative. Tornato in Senato come senatore a vita continuò nella sua prolifica attività di studioso e giornalista (sono di questo periodo le famose Prediche inutili), nonché di oculato imprenditore agricolo della sua tenuta a Dogliani, e si spense a Roma il 30 ottobre 1961.Di una figura così – come direbbero gli inglesi – «larger than life», è difficile riassumere pensieri e opere ma, visto il particolare momento economico che stiamo vivendo e l’imminenza dell’emanazione della legge sulla concorrenza, mi soffermerei su quest’ultimo aspetto. Uno dei capisaldi del liberalismo economico di Einaudi, infatti, fu l’avversione ai monopoli, pubblici o privati che fossero.In effetti, il nostro economista individuava la prima arma contro i monopoli nell’abbattimento dei dazi e delle barriere commerciali («una delle specie di legislazione più sicuramente colpevole di promuovere monopoli»). Oggi Einaudi sarebbe contrario agli ostacoli non tariffari alla circolazione dei capitali quali il Golden Power o le concessioni trentennali agli stabilimenti balneari, e probabilmente raccomanderebbe all’Europa di esercitare prudenza nei confronti del Regno Unito post-Brexit: l’erezione di barriere sarebbe una sconfitta per entrambi.Peraltro, rispetto al monopolio legale più importante dei nostri tempi, il brevetto, egli riconosceva l’utilità dei diritti di proprietà intellettuale per stimolare l’innovazione ma ne propugnava una durata limitata. Chissà se oggi di fronte ai grandi giganti del Tech ne avrebbe apprezzato la capacità di distruzione creatrice (e di moltiplicazione: dove prima c’era solo Microsoft oggi ci sono una mezza dozzina di titani) o avrebbe temuto di più la loro posizione dominante.Il monopolio doveva essere combattuto anche nel fornire i servizi pubblici, non prerogativa del solo Stato ma di autonomie locali, enti, fondazioni. Persino nella scuola, «senza concorrenza tra istituti statali ed istituti privati, non v’ha sicurezza che l’insegnamento sia ottimo. Importa esistano rivalità, emulazione, concorrenza, perché perizia, ingegno, carattere siano stimolati al bene. Il monopolio, anche dello Stato, è sinonimo di stasi, di pigrizia mentale, di prepotere» (Prediche inutili, capitolo «Scuola e libertà»).Ricordiamocelo: il declino italiano è iniziato non solo per la dissennatezza della spesa pubblica ma altresì perché ogni corporazione, sindacato, associazione di imprese, consorteria ha reclamato il proprio particulare a scapito degli altri, mentre, avrebbe chiosato Einaudi, «l’uomo libero non può riconoscere alcun privilegio economico a danno della eguale libertà per tutti di lavorare, di intraprendere, di risparmiare». —