La Stampa, 2 novembre 2021
Tradimenti / 2 Il Mali passa dalla Francia ad Al Queda
Caratterizzata dalle medesime connotazioni inconfondibili, non artefatte, irresistibili per sé, ecco scodellata un’altra Doha, un’altra negoziazione finora impossibile con i demoni jihadisti, questa volta in Mali, nel Sahel. Sotterranea, ma non troppo, realizzata nei fatti ma finora negata ufficialmente per non indispettire il padrone francese che predicava guerra a oltranza, ora diventa esplicita, ufficiale: il governo maliano, per bocca del suo ministro del culto Mahamadou Koné, ha investito l’Alto consiglio islamico del Paese della missione di avviare il dialogo con i guerriglieri del «Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani», un arcipelago di implacabili islamisti di cui fanno parte sigle da metter paura, «Al Qaeda del Maghreb islamico», «Ansar dine», «al-Mourabitoune».Mentre i francesi cominciano la ritirata (metà del contingente di 5000 uomini che ha partecipato alla fallimentare operazione «Barkhane» contro i taleban del deserto se ne va) si innescano gli ingranaggi di un meccanismo che può rovesciare la geopolitica di questa parte del micidiale fronte africano della jihad.La resa ai taleban inizia dunque, a migliaia di chilometri di distanza, a produrre effetti a catena. Una sorta di coazione geopolitica a ripetere anche in altre realtà le stesse vicende storiche, che si ripresentano identiche o assai simili, con situazioni fisse, personaggi tipo, copioni che sembrano già formalizzati e predisposti: arrogante presenza straniera, una guerra feroce e senza sbocchi, dirigenti locali corrotti fino al midollo e al servizio degli stranieri, miseria diffusa tra le popolazioni che lambisce la fame, ribelli fanatici e pazienti, guerriglie irrimediabili, sfinimento politico, militare, umano.Al contrario dell’Afghanistan qui gli occidentali, i francesi, sono scavalcati, osservano furibondi. Il Mali sembra sfuggir loro di mano: un paio di golpe che, incredibile a dirsi, non sono stati pilotati da Parigi per cambiare proconsoli diventati antipatici, avances del governo «di transizione» alla Russia per sostituire la Legione con i mercenari putiniani della Wagner, nientemeno… Son cose inaudite, l’empire al tempo di Tentenna Macron va in pezzi.Come a Kabul si sconta l’incapacità di comprendere la realtà locale nel suo involucro refrattario. Prevale la tesi per cui il Sahel si comprende meglio a «Science Po» che a Timbuktu, e poi l’accontentarsi di applicare i propri desideri e pregiudizi, un autoritarismo da padroni di antico stampo, o esotismi e mitologie desideranti come ai bei tempi. Macron dabbene, illuminista e garantista a casa propria è pronto a ogni metodo da «Francafrique» agli antipodi; a suo agio, con nonchalance signorile, quando si tratta di installare i vecchi metodi nella topaia del Sahel.Arrivi in Mali, Niger, Burkina Faso e tutto è sempre eguale: la stessa immensa miniatura di deserto superbo, monti tagliati come ambe, gole, anfratti che si accavallano che sembrano disseminati di castelli in rovina e sono miraggi di pietra, rocce e terre cespugliose che neppure il sole diversifica. Non sono cambiati i villaggi color ocra come le pietre e la sabbia, astrattamente eguali. I nomi sono sempre gli stessi: Kidal, Gaò, Agadez, cittadelle di una guerra senza linee, dove è facile e fatale passare per errore dalla parte opposta e non si è mai sicuri di che parte siano gli uomini bivaccati in fondo alla pista sotto un ombrello pallido di acacie spinose: miliziani di Aqmi, soldati-predoni dell’esercito regolare, banditi di strada, migranti, tuareg?Le ferite qui come in Afghanistan sembrano più spalancate che altrove, anni perduti e gettati in persecuzioni e distruzioni, scontri tribali, vendette, atroci danni collaterali, battono e ribattono fanatismi e rabbie etniche contro una «guerra al terrorismo» sacrosanta ma ottusa, incapace di comprendere che la prima linea per vincerla sarebbe metter riparo a ritardi economici, civili, democratici che noi abbiamo innescato e coltivato perché ci facevano comodo. Riesce misterioso capire come mai tanta ideologia europea così attenta e saputa sulle libertà grandi e piccole che avremmo conculcato qua e là nel mondo e le mobilitazioni, sempre più rare, per rivendicarle e difenderle si siano così mistificate qui nel loro contrario. La questione diventata ipertrofica del sopravvivere ogni giorno, come un sasso che la povera gente saheliana continua a rodere, a costo di insanguinarsi la bocca.Malandati spossati allibiti avviliti tragici, i popoli del Sahel imboccano dunque la via della trattativa con il feroce nemico. L’Alto consiglio islamico ha già trattato con gli islamisti, in marzo aveva sottoscritto una tregua con gli jihadisti della katiba «Macina» di Amadou Koufa in una zona che era stata teatro di sanguinose rese dei conti con le milizie di autodifesa dei cacciatori dozos. Ma è dal 2015 che i governi maliani invocano, su pressione delle popolazioni esauste, una trattativa diretta con gli jihadisti per fermare il bagno di sangue e cercare la pace.L’ex presidente Keita nel 2020, prima di essere rovesciato dal golpe, ha riconosciuto per la prima volta contatti con Al Qaeda. Trattative che avevano portato alla liberazione di due ostaggi e di un centinaio di prigionieri jihadisti: e anche qui c’era già un’eco dei mercanteggiamenti di Doha e Kabul.A condurre i negoziati sarà l’iman Ousmane Haidara, incarnazione di un islam tradizionale, di rito malikita, che ha sempre rifiutato il salafismo jihadista. Nell’ombra, per ora, il potente e popolare iman Mahmoud Dicko, vicino a posizioni wahabite. La biografia della controparte mette gli strasudori a Parigi: Iyad ag Ghali, un tuareg della grande famiglia degli Ifoghas, ha cominciato a combattere nella Legione islamica di Gheddafi. Dapprima patriota dell’agognato stato tuareg dell’Azawad alla fine degli anni Novanta si è radicalizzato sotto gli insegnamenti dei predicatori pachistani della Jamaat al-Tablig. Le sue condizioni sono: partenza degli occupanti francesi e sharia. Ad agosto ha lanciato un proclama alle truppe: «I francesi partono. La nostra perseveranza ha pagato. La liberazione passerà per la jihad».