Architetto forse per lei il più bel regalo di compleanno sarebbe la promessa di un restauro integrale di Casa Papanice, celebrata dalle riviste di architettura internazionali come un capolavoro dell’architettura postmoderna.
«Certamente. Tra l’altro con un atto arbitrario hanno anche distrutto una delle scale che portava al piano nobile. Uno scempio».
Che rapporti ha avuto con l’ambasciata?
«Dopo che sono usciti i primi articoli e mi sono trovato davanti quel disastro, ho telefonato. In un primo momento mi hanno detto avrebbero gradito una proposta di restauro, che non comporterebbe grandi spese. Ho dichiarato la mia disponibilità ma poi non li ho più sentiti. E dopo mi hanno richiamato solo per lamentarsi di alcune dichiarazioni che avevo fatto alla stampa».
Anche la Soprintendenza ha avviato da tempo una pratica ma ancora non ha imposto alcun vincolo.
«La Moschea, Casa Baldi e Casa Papanice dovrebbero essere dichiarate opere di interesse culturale e vincolate, cosa che non è stata ancora fatta».
Lei progettò Casa Papanice al Nomentano nel 1966. Quali sono
le ragioni del suo valore architettonico?
«La progettai da giovane come un primo elemento di una città futura aperta alla natura. Ed è uno degli edifici prodotto dalla cultura italiana più presi in considerazione».
Un capolavoro postmoderno.
«Credo di sì, perché sono riuscito a esprimere il desiderio di contatto con la natura, con i colori, il verde come le foglie, l’azzurro come il cielo. È una casa che punta sulla luce».
Soprattutto dalle maioliche colorate sulla facciata, anche esse abbandonate al degrado.
«Le ho pensate come una musica secondo una combinazione matematica dei colori che traduce anche in termini grafici le prime note della Primavera di Vivaldi».