Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 02 Martedì calendario

Intervista a Luigi Di Maio

La destra non usi il Colle per ricattare il Paese con il voto anticipato. Raggiungerebbe l’unico, inaccettabile, obiettivo di bloccare la ripresa», firmato Luigi Di Maio. Che nella Draghicrazia italiana, incastrata tra G20 e Cop26, è uno dei rari politici classici (lo è a tutti gli effetti) capaci di resistere alla larghezza soffocante del premier, incarnandone, istintivamente, la visione.
Abile a schivare i colpi e a slalomeggiare nell’eterno Squid Game del suo Movimento – al punto da dare l’impressione di essere lui il numero Uno che muove i fili mentre gli altri giocano un mortale “un-due-tre stella” – il ministro degli Esteri ha conquistato, studiando, la fiducia degli apparati della Farnesina. Fine del periodo di formazione. E se non fosse che il limite massimo dei dieci anni previsto dal grillo-casaleggismo lo costringe(rebbe) a cercarsi una nuova occupazione, avrebbe finalmente la statura per reclamare un legittimo ruolo da protagonista. Rispetterà le Sacre Tavole firmate in era remota o troverà il modo per restare a cavallo? Domanda retorica, va da sé.
Basta leggere il suo libro autobiografico – Un amore chiamato politica – per capire che il ministro è abbastanza flessibile da cambiare idee, ammettere errori e trovare rapidamente nuovi baricentri, inconsapevole testimonianza del Walt Whitman che è in ciascuno di noi. «Mi contraddico? Certo che mi contraddico. Sono vasto. Contengo moltitudini». E questa intervista a La Stampa, che spazia dal Clima al Quirinale, passando dal rapporto con Conte e Salvini, aiuta a capire dove le sue contraddizioni hanno portato lui – perfetto termometro del presente – e dove, in qualche modo, porteranno noi.
Ministro, il G20 è stato un fallimento come sostiene Giuseppe Conte?
«Conte non ha mai detto che è stato un fallimento. Quanto al G20 mi limito a citare l’accordo raggiunto tra Europa e Stati Uniti per l’eliminazione dei dazi sull’acciaio e sull’alluminio o lo stop ai finanziamenti pubblici per le centrali a carbone. Senza parlare dell’impegno a vaccinare il 70% della popolazione mondiale entro la metà del 2022 o delle tasse alle multinazionali. Poi, certo, si può sempre fare di più».
L’accordo sul clima è a dir poco vago, non è stato soltanto un gigantesco “bla bla bla”, come direbbe Greta Thunberg?
«Siamo andati oltre il “bla bla bla”, mi lasci dire che abbiamo fatto cose concrete».
Senza Putin e Xi Jinping?
«Mi limito a osservare che attorno al tavolo dei negoziati c’erano gli sherpa anche di Usa, India, Cina e Russia. E che i presidenti Xi Jinping e Putin si sono collegati in videoconferenza».
Non è bastato per mantenere nel documento l’impegno per le emissioni zero entro il 2050.
«Ma è bastato per avere l’unanimità sia sul tetto massimo di 1,5 gradi per l’innalzamento delle temperature, sia sulla neutralità carbonica intorno alla metà del secolo. La Russia e la Cina lo faranno entro il 2060. Obiettivi impensabili alla Cop21 di Parigi. Neppure contemplati. A Glasgow invece si riparte da qui. Un risultato raggiunto grazie all’Italia e alla leadership di Draghi».
Si è innamorato del premier?
«Sono innamorato della mia fidanzata. Ma è impossibile non vedere con quanta autorevolezza il presidente del Consiglio porta avanti i negoziati internazionali».
È la nuova Merkel? Parlando con Lucia Annunziata, Giuseppe Conte ha detto di no.
«In questo momento storico, in cui i grandi della terra hanno giustamente salutato Merkel con fiori e applausi, e in cui molti Paesi europei sono in campagna elettorale, è inevitabile che l’Italia e Draghi diventino un punto di riferimento».
Lo prendo per un sì. Meglio Draghi di Conte?
«Due premier eccellenti chiamati a guidare il Paese in momenti diversi. Conte è stato straordinario ad affrontare la pandemia partendo da un foglio bianco. Draghi lo è altrettanto nel guidare la ripartenza. Consolidare il 6% di crescita è un risultato clamoroso che gli va riconosciuto”.
Nucleare e idrogeno blu, lei sta con Cingolani?
«Il dibattito non è neppure sul tavolo del G20. E ricordo che il nucleare in Italia è già stato bocciato due volte. Per altro a ridosso di due catastrofi, Cernobyl e Fukushima».
Cito il premier: senza donne la ripresa non può essere equa e rapida.
«Poco ma sicuro. Questo mi consente per altro di dire che la legge sulla parità salariale in Italia è arrivata anche grazie alla spinta del Movimento 5 Stelle. Per altro è surreale che nel 2021 certi principi vadano stabiliti per legge».
Nei Cinque Stelle comandano due uomini: lei e Conte.
«La parola comandare non mi piace, la trovo sbagliata. Così come è sbagliato sottovalutare le figure di rilievo femminili che nel Movimento sono e saranno sempre più importanti: penso a Raggi, Dadone, Todde, Taverna, Azzolina, Castelli. Ma anche a Chiara Appendino, che è destinata a darci una grande mano».
A proposito di comandare, lei può andare in tv o deve chiedere il permesso?
«Sto andando in tv ora, appena finisco con lei».
Ministro, la parola gay è un insulto?
«No, assolutamente no».
E allora…
«La fermo. Come racconto nel libro, con me è stata utilizzata in modo strumentale perché una parte della politica le dà ancora un significato denigratorio e dispregiativo. Il che è inaccettabile. Io mi sono limitato a dire che sono etero, semplicemente perché è così, ma le scene al Senato sulla legge Zan dimostrano quanta strada debba essere ancora fatta in questo senso».
Gli applausi a scena aperta della destra?
«Pazzesco. Mi hanno sorpreso ancora di più gli applausi della destra moderata. È legittimo esultare quando si mette sotto il governo, ma non è accettabile che lo si faccia quando di mezzo ci sono i diritti delle persone. La bocciatura della legge Zan è una sconfitta per il Paese».
Non è che quell’applauso grottesco enfatizzasse le prove generali di voto congiunto che la destra e il centro stanno immaginando per il Colle?
«Ovvio che è così. Per questo quella scena è ancora più mostruosa. Una strumentalizzazione senza pudore. Messa in atto da persone che calpestano i diritti individuali per fare giochini di Palazzo».
Qual è l’obiettivo del giochino?
«Temo che sia un tentativo di ricatto per arrivare alle elezioni anticipate. Un ricatto al quale dobbiamo dire di no con fermezza. Tornare al voto vorrebbe dire bloccare la ripresa del Paese, nel momento in cui dobbiamo gestire i fondi del Pnrr e concludere la campagna vaccinale. È semplicemente sbagliato».
Ha visto la sfilata dei No Vax a Novara vestiti come deportati?
«Sì, agghiacciante. Le proteste violente sono deleterie per il Paese in generale. Ma non esistono solo violenze fisiche, anche i gesti ignobili come quelli visti a Novara sono irricevibili».
Ministro, anche Letta e Conte si sono visti per discutere di Quirinale. Quelli non sono giochini di Palazzo?
«No, quello è stato un incontro legittimo tra due leader politici che ora sono chiamati a coinvolgere i loro gruppi parlamentari. È evidente che la discussione sul Colle sia uno degli argomenti politici di queste settimane».
Conte ha detto di non escludere l’ipotesi di Draghi al Colle a certe condizioni. Quali sono?
«Su questo ovviamente risponde Giuseppe. Di sicuro Draghi ha tutto il nostro supporto per il lavoro che sta facendo. E se permette io non ho nessuna intenzione di entrare nel dibattito sul toto-Quirinale, che può avere come unico risultato quello di bruciare i nomi migliori».
Il M5S ormai è una costola del Pd?
«Non scherziamo. Abbiamo identità diverse. Poi su lavoro e transizione ecologica abbiamo una visione comune, attorno alla quale stiamo costruendo un progetto condiviso. A differenza di quello che succedeva con la Lega, alla quale interessano solo i sondaggi e non il Paese. Mi pare però che neppure i sondaggi siano buoni per loro».
Lega e Fratelli d’Italia al Colle vogliono Berlusconi.
«Non ne sarei tanto scuro. E credo che se ne stia accorgendo anche Berlusconi. Salvini e Meloni stanno giocando con lui, auguri».
Gioco o no, Berlusconi le sembra un Presidente accettabile?
«Come dicevo mi sembra improbabile».
Sembra la Meloni che fatica a dire “fascismo no grazie”.
«Ma se rispondessi seriamente vorrebbe dire che ritengo l’ipotesi realizzabile. Evidentemente non è così».
Chiederete alla Rete di esprimersi sulla scelta del Presidente?
«Conte non lo esclude. Non dimentichiamoci comunque che nell’urna i parlamentari votano in segreto».
Ministro, l’Italia è diventata una Draghicrazia per incapacità manifesta della politica?
«No. Nell’azione del governo ci sono molte delle leggi e dei provvedimenti voluti dalla politica. Certo, è difficile non vedere lo slancio che la figura del premier sta dando alla crescita economica e alla campagna vaccinale».
Salvini e Meloni sono “unfit to lead” come sostiene Berlusconi?
«Vederli strizzare l’occhio a No Vax e No Green Pass di sicuro non giova alla loro credibilità. Se poi sono costretti a incontrarsi ogni settimana per giurare che vanno d’accordo, mi viene da pensare che il litigio sia la loro modalità di relazione più consueta».
Giorgetti è diverso da Salvini?
«Decisamente diverso. E io lavoro molto bene con lui e con gli altri ministri del governo».
È diverso anche da Renzi?
«Salvini e Renzi sono due facce della stessa medaglia. La loro cifra è l’inaffidabilità. Non oso immaginare che cosa potrebbero combinare insieme. Anche se è ovvio che il campo della destra oggi comprende entrambi».
Il Pd prima non le piaceva. Adesso le piace. Salvini prima le piaceva, adesso non le piace più. Non sarà che le piace solo chi governa con lei?
«Guardi che oggi c’è un governo che mette tutti assieme. E a me piace lavorare per l’interesse del Paese e non per quello dei partiti».
Perché un libro autobiografico a 35 anni?
«Mi ha spinto a scriverlo la pandemia, che credo rappresenti il confine tra un prima e un dopo. Un dramma nazionale che ha cambiato anche me e mi ha fatto pensare molto. Per fortuna, e anche un po’ per merito, ho attraversato alcuni momenti chiave della storia recente di questo Paese e ho voluto raccontarli uscendo dalla logica strettamente politica, per condividere anche l’esperienza personale».
Nel libro confessa di aver fatto degli errori (dalla richiesta di impeachment per Mattarella, alla rivendicazione della fine della povertà dal balcone di Palazzo Chigi). Lei se li è perdonati. Ma perché dovremmo perdonarglieli noi?
«Lei naturalmente è libero di fare come crede. E così qualunque lettore. Ma nel libro c’è anche il racconto delle molte cose che sono state fatte bene. Dell’impegno costante e produttivo a favore della collettività».
Ministro, passione a parte, la politica è diventata il suo mestiere?
«No, per me è una missione, di sicuro non mi pento di impegnarmi con costanza per il Paese».
È sicuro di non incarnare esattamente quello che fino a dieci anni fa combattevate?
«Prendo questa domanda per una provocazione alla quale non rispondo. Ma il mio lavoro è lì, sotto gli occhi di tutti». —