Il Sole 24 Ore, 2 novembre 2021
Crediti cattivi, l’Europa corre più dell’Italia
La pandemia ha fatto aumentare del 50% in un solo anno il peso dei crediti semideteriorati (stage 2) in Italia, con una crescita di oltre 70 miliardi. D’altra parte ad oggi il Covid-19 sembra aver peggiorato il portafoglio crediti delle banche in Europa più di quanto non abbia fatto in Italia, dove comunque l’effetto degli accantonamenti continua a farsi sentire.
Sarà forse per l’attenzione dedicata dalle banche italiane alla qualità (e alle coperture) crediti nell’ultimo decennio, oppure per gli effetti benefici della moratorie: fatto sta che la fotografia scattata da Mazars sui bilanci delle principali banche europee segnala un andamento tutto sommato confortante per le banche italiane. La società di revisione e consulenza ha analizzato i dati delle principali banche europee e li ha confrontati con quelli delle maggiori 10 banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, BancoBPm, Mps, Bper, Iccrea, Credem, Cassa Centrale Banca, Banca Popolare di Sondrio, Carige).
Ne emergono alcuni dati chiari. Il primo è che nel corso del 2020, ovvero l’anno della pandemia, le perdite su crediti sul mercato europeo si sono moltiplicate a una velocità quasi tripla (3,5x) rispetto a quanto osservato nel campione italiano (1,35x) nel confronto con il 2019. «Il maggiore incremento delle perdite su crediti delle banche Ue potrebbe essere legato a una più rigida classificazione dei crediti sulla base del principio Ifrs9 allo scoppio della pandemia – spiega Manuel Bellomi, manager di Mazars – o al fatto che le banche Ue scontassero minori svalutazioni sullo stock di crediti rispetto a quanto avessero già fatto in precedenza le banche italiane». Il lungo lavoro di pulizia fatto dalle banche italiane nel corso degli anni, unito al congelamento del pagamento dei debiti (che ha quindi evitato l’ingresso a default di imprese e famiglie), potrebbero aver reso in partenza lo stock crediti più pulito.
Ciononostante, le rettifiche di valore su crediti continuano a costituire un elemento determinante per la redditività delle banche italiane: il loro peso sul risultato operativo si attesta all’88% circa (64% al termine del 2019) contro il 78% osservato nel campione europeo (21% al termine del 2018). L’incidenza delle rettifiche di valore sui crediti continua così ad essere una zavorra sui conti degli istituti tricolori e ad influenzare più che nel resto del continente la redditività degli istituti di credito. All’origine di questo fenomeno, probabilmente, c’è la tipicità del business model delle banche italiane, particolarmente concentrate sul credito commerciale e quindi esposte in particolare al ciclo economico.
Ma non basta. Perché l’altro fenomeno di rilievo che ha accompagnato la pandemia è stato l’incremento degli stage 2, ovvero crediti ancora tecnicamente in bonis ma i cui segnali di deterioramento fanno intravedere un rischio di finire in stage 3, ovvero tra past due, inadempienze probabili e sofferenze. In questo senso l’onda lunga della pandemia ha contagiato una quota rilevante delle erogazioni. In un solo anno le prime dieci banche italiane hanno dovuto fare i conti con un balzo di 73 miliardi degli stage 2, che sono passati dai 144 miliardi lordi del 2019 ai 217 del 2020. Un balzo del 50 per cento. Il tema è particolarmente avvertito dal mercato, e non a caso questo era uno dei punti su cui si è concentrata anche la trattativa poi sfumata tra UniCredit e il Mef su Mps. Anche perché da questi creditori (che oggi in gran parte stanno mostrando segni positivi di rientro nei piani di pagamento) dipenderà l’andamento del costo del rischio futuro delle banche e quindi, a cascata, della redditività futura delle banche: circa il 13% dei crediti complessivi ha goduto delle misure di sostegno Covid, e qui si giocherà la partita futura. La notizia positiva, in compenso, è che le banche italiane sono sostanzialmente allineate a quelle europee in termini di copertura, inteso come rapporto tra i fondi svalutazione e i crediti lordi: 3,9% è il coverage italiano medio del 2020 sugli stage 2 (contro il 3,1% del 2019) che si raffronta con un 4,13% del campione Ue. Ancora meglio va se si amplia la visuale all’intero portafoglio crediti (stage 1, 2 e 3): l’indice di copertura si attesta al 2,72% contro l’1,56% Ue. Merito in particolare degli accantonamenti fatti sui crediti più deteriorati, gli stage 3, dove l’Italia si attesta al 53,2%, in linea con 2019 (52,3%): si tratta di una copertura di dodici punti superiore a quella media europea, dove il coverage ratio medio si ferma al 41,4% (40,7% nel 2019).