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 2021  novembre 02 Martedì calendario

Paola Cortellesi ricorda Gigi Proietti

Oggi è un anno senza Gigi Proietti.
(Silenzio lunghissimo) Eh… (di nuovo zitta) Si accavallano le emozioni, i ricordi, le sensazioni (sospiro). Al di là della definizione.
Quale?
Non posso chiamarlo “maestro” perché non ci teneva, però ripenso alla mia vita e lui ha rappresentato e rappresenta molto.
Paola Cortellesi, il primo incontro su Proietti.
Ripenso alla mia infanzia, all’adolescenza e agli anni successivi: mi ha accompagnata tutta la vita.
Nel documentario di Edoardo Leo dedicato a Proietti, lei racconta i viaggi estivi con i suoi genitori.
Mio padre in auto estraeva l’audiocassetta di A me gli occhi please: i miei ovviamente seduti davanti e noi tre fratelli dietro, stretti stretti, a ridere come cretini. Momenti meravigliosi.
Scena da film.
Sì, sembravamo la sequenza di Nanni Moretti ne La stanza del figlio quando cantano in auto; comunque conoscevo a memoria A me gli occhi please nonostante fossi piccola; (ci pensa) qualcuno potrebbe leggerci i prodromi del mio mestiere, ma non è così: lo sapevo a memoria perché ridevo.
Proietti e lei adolescente.
Papà ci porta a teatro. Davanti a I sette re di Roma, seduta sulla poltrona rossa del Sistina, mentre rido, penso: “Quanto mi piacerebbe stare sul palco con lui”. Non al suo posto, con lui. Ma non sapevo come, quando e cosa si dovesse studiare; poi, finalmente, anni dopo, l’ho conosciuto e a cena ho vissuto il terzo tempo…
Cioè?
Finito lo spettacolo ufficiale ne iniziava un altro per chi mangiava con lui ed erano serate a colpi di barzellette e racconti; (ride) non solo non so raccontarle, anzi mi prende l’angoscia perché mi sento costretta a fingere ilarità.
Qui c’è un però.
Con lui ho riso, riso e ancora riso.
Lui arrivava dal teatro sperimentale.
Esperienza fondamentale per poi giocare con altri ruoli: A me gli occhi please nasce pure da quello; quando recitava l’Amleto era unico perché passava dal classico e arrivava all’innovazione, con tempi e toni non convenzionali.
Alla parola “Amleto” ha istintivamente riso.
Da bambina ero convinta che Amleto fosse un personaggio allegro (e la Cortellesi inizia a recitarlo in stile Proietti). Solo da grande ho capito la verità e ho capito quanto era genio.
Torniamo al post spettacolo.
Alle cene era irresistibile: partiva in sordina, quasi timido, poi quando apriva bocca restavamo tutti zitti per ascoltarlo. Non era un’esibizione molesta, di quelli che pretendono di stare per forza al centro dell’attenzione. No, era condivisione. E poi non l’ho mai sentito parlare male di qualcuno.
Neanche una battutaccia?
Macché! Amava i giovani, amava trasmettere, formarli. Questo è un mestiere di pazzi, ma con lui esisteva il “boh”.
Tradotto?
Ancora si stupiva del suo successo. Non si rendeva conto. Un po’ perché non smetteva mai di ricercare, di approfondire, di sperimentare. Ed è un tratto distintivo di chi ha una vera passione per questo mestiere e non si accontenta dei traguardi raggiunti.
Proietti sosteneva: “Mai dare del tu al palco”.
Non lo sapevo. Aveva ragione. Ci vuole rispetto, sempre, altrimenti uno può incappare nella maledizione della seconda: dopo che la prima è andata bene, ci si rilassa ed ecco il danno.
Ha ricevuto consigli?
Con me ha fatto di meglio: mi ha seguita da quando ero una ragazzetta, a un certo punto mi ha guardata, mi ha dato una pacca sulla spalle e invitata a continuare; può sembrare un gesto piccolo, ma nel nostro mestiere ci sono dei momenti dove non hai più il coraggio di proseguire (cambia tono). Quella pacca è stata un incoraggiamento importante e non era per consolazione: era il gesto di una persona che conosce la professione.
La prima volta che Proietti l’ha vista.
Credo quando in televisione, a Macao, interpretavo un personaggio. “M’hai fatto ride’”. Ma che, davvero? “Sì, mi sei piaciuta”. Io stupita. (Pausa) Questo mestiere tocca le situazioni personali, le incertezze, le fragilità: quando sei in scena metti in gioco tutto, non torni indietro e se trovi qualcuno che ti spinge ad andare avanti, con consapevolezza, diventa tutta un’altra cosa.
Un mentore.
A un certo punto della mia carriera sono arrivate persone che mi hanno detto “scegli”. Perché venivo dal teatro, ed era prosa, poi andavo in televisione con la Gialappa’s, ed era satira; infine giravo film con ruoli drammatici. Mi vergognavo a rispondere: “Voglio fare tutto”. Invece Gigi mi ha spinto con il suo esempio e le sue parole a non rinunciare.
È passato un anno. Se lo vede in tv, ride come prima?
Uguale. L’altra sera alla proiezione del documentario, al momento del Cavaliere nero sono scoppiata in una risata; poi penso a lui che non c’è più e l’umore cambia un po’ (altro tono). Alla fine mi hanno chiesto: “Gigi ha lasciato un vuoto?”.
Risposta?
Il vuoto è non poterlo più vedere in scena o in quelle meravigliose cene, ma ha lasciato un pieno per quello che ha inventato, il suo linguaggio a disposizione di tutte le generazioni. Poi sì, non ci sarà più un artista come lui. E questo è un vuoto.