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 2021  novembre 01 Lunedì calendario

UNA VITA DA PUPETTA – LA SFIDA A CUTOLO, L’OMICIDIO DI ANTONIO ESPOSITO E LA FAMA MONDIALE: PARLA "MADAME CAMORRA", PUPETTA MARESCA – “GOMORRA È DISEDUCATIVA. HO VISTO UNA PUNTATA, MA DI FRONTE A CERTE SCENE ANCH' IO HO SPENTO LA TV” – “UCCISI ESPOSITO PER AMORE, PER VENDICARE IL MIO UOMO, MA SUL CORPO FURONO TROVATI ALTRI COLPI DI PISTOLA” – “LA CONFERENZA STAMPA CONTRO CUTOLO? SE AVESSI TACIUTO, SAREI MORTA NEL SILENZIO E NELL'INDIFFERENZA GENERALE. NON DISSI 'IO TI AMMAZZO!', MA…" - VIDEO: LA CANZONE "O BENE MIO" NEL FILM "DELITTO A POSILLIPO" -

"Le Figaro" l'aveva chiamata "Madame Camorra"; Manuela Arcuri la interpretò in una fiction. Lei, Pupetta Maresca, si descrive come una donna che amava cantare, vivere e che, se ha ucciso , l'ha fatto solo per senso di giustizia.

Certo è che della vita di Pupetta Maresca rimangono saldi alcuni avvenimenti storici. Un matrimonio lampo con Pasquale Simonetti, boss del mercato di Napoll e amico di Lucky Luciano, freddato per motivi di controllo del territorio.

Un omicidio commesso per "giustizia " da Pupetta nei confronti di chi le portò via l'amore . Un secondo matrimonio con Umberto Ammaturo, boss della camorra e affiliato alla parte degli stabiesi, oltre che alleato con Escobar nel traffico internazionale di armi.

Pupetta ha vissuto in prima persona la guerra tra clan a Napoli che in soli tre anni fece più di 1.500 morti all'inizio degli anni Novanta ed oggi, malata, racconta qualche stralcio di una vita vissuta sempre al limite ma, come dice lei, sempre con passione.

Parlando con Pupetta Maresca si comprende un pezzo di cultura della criminalità organizzata degli anni Ottanta e Novanta. Un pezzo di storia italiana, che sarebbe assur-do dimenticare.

«Gomorra è diseducativa per i bambini. Ho visto una puntata, ma di fronte a certe scene anch' io ho spento la tv». A parlare è Pupetta Maresca, la donna della camorra che osò sfidare il capo della criminalità organizzata di Napoli Raffaele Cutolo negli anni Ottanta.

Oggi Pupetta, una storia da film, non sta bene. La incontro nella sua casa di Castellammare di Stabia, all'ultimo piano di uno stabile che ha visto combattere i clan della Nuova Camorra Organizzata, quella di Cutolo, contro quelli della Nuova Famiglia, dei Giuliano, Bardellino e Ammaturo.

Nonostante la malattia Pupetta è sempre una bella donna, la cui vita è passata dal carcere al cinema per terminare con le fiction. «Sono nata il 19 gennaio 1935 a Castellammare di Stabia, in via Tavernola 29. Eravamo sette figli: quattro maschi e tre femmine. Delle femmine, io ero la più grande. Due maschi erano più grandi me, gli altri due più piccoli»

Che tipo di famiglia eravate, Pupetta? «Una famiglia agiata, la nostra, e un padre padrone. Anche la mamma, per dire la verità, non scherzava. Era autoritaria. Ma la severità di papà era unica. Se arrivava a casa una persona con la quale lui doveva parlare a quattr' occhi, bastava un suo sguardo e dovevamo scomparire tutte quante noi donne. Altrimenti, botte».

Cosa faceva tuo padre? «Avevamo una salumeria molto avviata e, poco distante, la macelleria. Io tutte le mattine, alle sei in punto, prendevo servizio alla macelleria, per poi rientrare a casa per occuparmi delle faccende domestiche: fare i letti, lavare, stirare. Cantavo ad alta voce le canzoncine che andavano di moda e la gente passava davanti al negozio e mi ascoltava sorridendo. Eravamo in piena guerra e anche noi, a Castellammare, dovevamo subire i bombardamenti aerei americani».

Che ricordi hai della Seconda guerra mondiale? «Ero piccolina, ma ne ho tanti stampati nella mia memoria. Ricordo dopo l'8 settembre del 1943, il giorno dell'armistizio, arrivarono i tedeschi con i mitra spianati. La sera salivano sul monte a piedi e ci guardavano con occhi feroci. Una mattina, dal balcone di casa mia, vidi i tedeschi catturare i maschi ad uno ad uno per portarli nei lager. Feci in tempo ad urlare a papà: "Scappa! Scappa! Fùi, fùi, fùi". E si salvò. Avevo paura del buio...».

Che ricordo hai degli americani? «Tedeschi e fascisti avevano perso la guerra e gli americani erano simpatici, molto carini. Cantavano, ci rifornivano di cioccolato e di ogni altro cibo. C'era da mangiare per tutti. Si cominciava ad essere felici. Gli anni del dopoguerra furono gli anni che videro l'inizio della mia adolescenza. Ricordo con nostalgia il rock».

...e il tuo primo amore? «Un ragazzo tedesco, figlio di un esperto contabile che lavorava a Napoli, presso la direzione della flotta dell'armatore Achille Lauro, e che a Napoli aveva trasferito tutta la famiglia: la moglie e i quattro figli: Laura, Anna e Mattia. Del quarto non ricordo il nome.

Ma il mio primo ragazzo fu Mattia, che si era innamorato di me. Suo padre, durante l'occupazione, collaborava con i nazisti e faceva loro da guida quando si recavano ad arrestare i militari italiani che si erano nascosti con l'intenzione di resistere all'occupazione».

E tu? «Quando venni a saperlo, lo rinfacciai a Mattia, gli diedi del traditore. Non volli più saperne di lui. Poi ebbi un flirt con un ragazzo di circa diciott' anni, Bruno. Famiglia benestante, proprietaria di un importante caseificio.

A Bruno piacevano le canzoni, come a me, e le cantavamo assieme. Ma lui era un po' violento. Troppo, per me. Una sera picchiò a sangue una ragazza che ci aveva molestato. Lo lasciai. Mi accadrà poi di incontrarlo casualmente alcune volte, a Napoli, in compagnia della moglie e della loro figlia. E finalmente conobbi Pasquale Simonetti...».

Pascalone O' Nola. «Pochi giorni dopo esserci conosciuti mi disse che ero bella, che gli piacevo, che mi voleva sposare. Non potei resistere più di sei mesi. E ci sposammo. Per poco tempo riuscimmo ad essere felici assieme. Perché e affiliato alla parte degli stabiesi, oltre che alleato con Escobar nel traffico internazionale di armi. me lo ammazzarono».

Come accadde? «La macchina, a volte la guidava l'autista, a volte Pascalone, e ricordo come fosse ieri la mattina in cui un'automobile prese a inseguirci. Pascalone era al volante e appena se ne rese conto frenò bloccando l'inseguitore, scese, aprì la sua portiera e lo tirò fuori come se fosse una borsa. Io ebbi paura e lo supplicai di lasciarlo andare. Così lo lasciò andare.

Era il primo segnale del conflitto che stava aprendosi tra Pascalone e Antonio Esposito, "Totonno 'e Pomigliano", per il controllo del mercato ortofrutticolo. Il conflitto riguardava il prezzo delle patate.

Esposito voleva abbassare i prezzi. Pascalone era di parere opposto: li voleva più altio. Due punti di vista, e due personalità, inconciliabili. Finchè si giunse a quel terribile 16 luglio 1955, esattamente ottanta giorni dopo il nostro sì matrimoniale».

Lei era già incinta? «Sì. Ottanta giorni erano trascorsi tra le nostre nozze e l'assassinio di Pascalone. E ottanta esatti ne trascorsero tra la morte del mio amato marito e la mia vendetta, anzi giustizia, che si concretizzò con l'uccisione, a colpi di pistola, di colui che aveva ordinato di uccidere Pascalone. Non capivo niente.

Ero una ragazza che voleva andare a ballare, che voleva essere felice. Sul corpo di Esposito furono trovati altri colpi di pistola oltre a quelli che avevo sparato io. Chi furono quelli che gli spararono? Non è stato mai provato che fu proprio la mia pistola ad ucciderlo».

Perché uccise? «Io avevo ucciso per amore, cioè per vendicare il mio uomo, e per non essere ammazzata, non soltanto io, ma anche il bambino che portavo in grembo. Cioè, avevo sparato per legittima difesa».

Lei andò in carcere, e lì nacque Pascalino, il figlio del suo marito assassinato. «Pascalino nacque a gennaio e per me fu un momento bellissimo, di grande gioia, anche se già immaginavo il dolore che mi avrebbe aggredito quando, dopo il periodo di allattamento, avrei dovuto separarmi da lui».

La sua fama divenne internazionale, addirittura ricevette in regalo abiti per suo figlio dalla regina di Persia. «Fu così, un gesto molto bello che ricordo con affetto».

Uscita dal carcere si fidanzò con Ammaturo, uno dei boss della camorra. Come andò? «Umberto lo avevo conosciuto a casa di una mia amica, poco tempo dopo essere tornata in libertà. Mi sentivo sola. Avvertivo di essere incompresa anche da parte dei miei genitori. Una sera venne a prendermi e mi portò a cena a Pompei. Poi, correttissimo, mi riportò a casa. Mi corteggiava, mi telefonava con insistenza. Ci sposammo e dal nostro amore nacquero due figli».

Ammaturo poi si è pentito e ha dichiarato che è stato lui a uccidere Semeraro, tagliandogli la testa perché aveva tradito. «Se lo ha detto lui... Quel periodo fu terribile, e in tre anni ci furono più di 1500 esecuzioni nella lotta tra Cutolo e la Nuova Famiglia».

E la sua conferenza stampa contro Cutolo al circolo della stampa di Napoli? «C'era in palio la mia vita. Se avessi taciuto, sarei morta nel silenzio e nell'indifferenza generale. Desidero però chiarire che, in quell'occasione, non dissi, rivolta a Cutolo: "Io ti ammazzo!", ma dissi: "Se tocchi i mei fratellini io faccio la stessa cosa a te".

La mattina dopo, il telefono di casa mia prese a squillare. Alzavo la cornetta ed erano continue minacce di morte: "Devi morire!", "Maledetta!". Incominciai a rispondere per le rime: "Io alle nove, ogni mattina, vado ad aprire il mio negozio di abbigliamento. Ti aspetto là. O muoio io, o muori tu". Non venne mai nessuno. E tuttavia trascorsi giorni di tensione, di paura, soprattutto pensando alla tutela dei miei due figli gemelli, allora dodicenni, che frequentavano le medie e ogni mattina dovevano recarsi na scuola».

I giornalisti, la stampa, l'avevano idealizzata, era diventata una "tagliatrice di teste": nacque il mito di Pupetta. Oggi Pupetta cosa desidererebbe? «Che i miei ragazzi siano felici. E sapere la verità su chi uccise mio figlio Pascalino».