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 2021  novembre 01 Lunedì calendario

Intervista a Massimo Popolizio

Massimo Popolizio si definisce un “risolutore”, il Mr Wolf del cinema italiano: «Sono chiamato a risolvere problemi, anche pratici. Come uscire vivi da un personaggio, da una scena, da un copione in poco tempo?». Nel noir Ai confini del male di Vincenzo Alfieri — due giovani rapiti, un rave e tanta droga, un serial killer che si riaffaccia dal passato, una provincia oscura — è un inflessibile capitano dei carabinieri che coordina le indagini sulla sparizione del figlio, collaborando suo malgrado con un collega borderline, Edoardo Pesce, che ha perso figlio e moglie in un incidente. Il film, dal romanzo di Giorgio Glaviano, è prodotto da Sky con Federica e Fulvio Lucisano e Vision, da oggi su Sky e Now.
Che problema ha risolto qui?
«Vediamo agire il capitano Rio in un certo modo, senza sapere ciò che ha fatto. Quanto costa a uno come lui mentire, tradire? Non è un criminale ma nell’emergenza l’etica si crepa.
Poi ci sono il rapporto forte con il figlio e l’ossessione di un caso irrisolto che gli ha rovinato la vita, un mostro che non ha punito».
Ama i thriller?
«Quelli vintage alla Simenon, velati e meno cruenti. Alfieri ci ha fatto vedere Seven , Insomnia di Nolan, per l’atmosfera plumbea e il rapporto a due di lotta e complicità».
Come sceglie i film?
«Guardo la qualità, non il genere. E poi per me il cinema è una vacanza, rispetto al teatro. Un cambiamento rispetto alla routine della tournée.
Ora ho ripreso Furore di Steinbeck e a dicembre faccio una grossa pazzia, porto a Milano M. di Antonio Scurati».
Perché una follia?
«Parlavo con Antonio di un mio progetto e lui fa: perché non porti in scena M .? Ho detto: è una follia, poi ho pensato che dopo la pandemia la cosa che ci vuole è una follia, dobbiamo osare. Diciotto attori sul palco».
La chiave che avete scelto?
«Le dico quello che non è. Non è una puntata di Rai Storia di Paolo Mieli perché la fa meglio lui, non è un film di Lizzani con Mario Adorf che fa Hitler e De Sica che fa Giolitti, non è uno spettacolo d’epoca. La chiave è onirica, ci sono più Mussolini, una cosa fuori catalogo».
Quanto mai attuale.
«Siamo partiti due anni fa, abbiamo avuto le antenne. Non potevo immaginare questa recrudescenza della destra. C’è una frase in M. , “il fascismo si sta diffondendo come un contagio”. Dipende da tanti motivi.
Non è solo Mussolini e il suo carisma o il periodo, il fascismo è stato pre incubato. Non è il virus che si diffonde, è il corpo che è predisposto ad accoglierlo. Vale per ogni totalitarismo. Le situazioni non sono lontanissime: una crisi politica, l’uscita dalla pandemia come dalla guerra. Non dico che siamo pronti per il fascismo, ma a una riflessione su cosa stiamo vivendo attraverso un salto nel tempo, forse sì. Non è uno spettacolo ideologico, schierato, giudicante, sarebbe stupido. È un sasso lanciato, una provocazione».
Quali personaggi ama di più?
«Come Jessica Rabbit, mi fanno sempre fare il cattivo, anche se io ho in serbo una crepa da cui far uscire altro. Al cinema sono arrivato tardi, ho meno paura della macchina da presa, la mia faccia è diventata più interessante».
Com’è stata per lei la clausura?
«La prima, tremenda. La mia compagna era a Milano io a Roma, passavo dal letto al divano, avevo scambiato il giorno con la notte».
La macchina del teatro è ripartita?
«Sono a Thiene, 24 mila abitanti, vicino Vicenza, ha una stagione teatrale con tre repliche, teatro delizioso e quasi pieno. L’Italia è piena di posti così. Dobbiamo invogliare chi ha ancora paura: alla fine degli spettacoli gli applausi sono liberatori, per chi è sul palco e per chi è in sala».