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 2021  novembre 01 Lunedì calendario

Che cosa è stato deciso al G20 di Roma

Chi si aspettava la rivoluzione nella battaglia contro il cambiamento climatico, probabilmente rimarrà deluso. Ma il G20 presieduto dal governo italiano aveva due compiti fondamentali: portare tutti i “Grandi” su una linea comune contro il surriscaldamento e quindi porre le basi affinché il vertice di Cop26 che inizia oggi a Glasgow possa compiere un altro passo in avanti. E questi due propositi alla fine sono stati conseguiti. Certo, il documento varato dai Venti “Big” della Terra va letto in controluce. Mancano alcune delle aspettative concrete che molti capi di Stato e di governo avevano alimentato nelle settimane scorse. Tutto l’arcipelago ambientalista è critico. Il premier britannico Johnson ha detto chiaramente che «non basta». Così come il segretario generale dell’Onu Guterres il quale osserva a chiare lettere che «le speranze non sono soddisfatte, ma nemmeno sepolte». Nel testo finale, però, compaiono alcuni elementi che fino a pochi giorni fa erano assenti e che fanno dire a Mario Draghi, presidente del G20, che è stato un «successo».


Impegno comune
In primo luogo il riconoscimento che il mondo vive una fase di emergenza vitale. «Rispondendo all’appello della comunità scientifica, rilevando con preoccupazione i recenti rapporti dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), — si legge nella dichiarazione finale — ci impegniamo ad affrontare le criticità e la minaccia urgente e a lavorare insieme ». Una considerazione niente affatto scontata nei mesi scorsi.


Al massimo 1,5 gradi
Sulla base di questo presupposto, nel documento approvato dopo i due giorni di lavoro, emerge un punto che nell’Accordo di Parigi era eventuale e che ora assume una definizione. Ossia l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi e non solo «al di sotto di 2». «Riconosciamo — è l’intesa di Roma — che gli impatti del cambiamento climatico a 1,5 gradi sono molto inferiori rispetto a 2 gradi». E si tratta di una ammissione che coinvolge anche i tre maggiori scettici rispetto alle misure contro l’inquinamento: Russia, Cina e India. Naturalmente ora si tratta di passare dagli impegni alle misure concrete, ma da parte di Mosca, Pechino e Delhi in precedenza non era mai arrivata la disponibilità ad agire secondo quella direttrice. Fine emissioni entro o attorno alla metà del secolo Lo scontro più intenso si è consumato sulla data-limite. Gli stessi tre “big polluter”, infatti, avevano sempre rifiutato di fissare un termine fisso per porre fine alle emissioni. Anzi, in passato erano pronti a rinviare il discorso alla fine di questo secolo e più di recente la Cina si era attestata sul 2060. Ora si sottolinea «l’importanza fondamentale del raggiungimento dello zero globale di emissioni di gas a effetto serra o della neutralità delle emissioni di carbonio entro la metà del secolo o intorno alla metà ». Una formula meno netta rispetto alle aspettative, ma più impegnativa rispetto al passato. La Turchia, ad esempio, ha ieri confermato di essere pronta a cogliere questo obiettivo entro il 2053.


100 miliardi l’anno
Altro tassello essenziale e che ha accompagnato l’intero negoziato di ieri notte e che è stato giudicato fondamentale anche da Draghi, riguarda gli aiuti a favore dei Paesi più poveri per affrontare la transizione ecologica. Come ha detto il premier italiano è stato uno dei fattori che più hanno aiutato e che quindi fa a pieno titolo parte del compromesso. Il documento finale indica la quota di 100 miliardi di dollari l’anno fino al 2025. Ma nella trattativa che si è svolta nella “Nuvola” di Fuksas proprio per mobilitare un blocco più ampio di Paesi, era stata messa sul tavolo anche la possibilità di far crescere quell’importo fino a 150 miliardi l’anno. Soluzione che in conclusione, però, è stata accantonata. Sebbene nel testo finale si aggiunga: «Accogliamo con favore i nuovi impegni assunti da alcuni membri del G20 ad aumentare il proprio sforzo contributivo e ne aspettiamo ulteriori da parte di altri Paesi». Stop ai finanziamenti pubblici per le centrali a carbone Un passo più deciso, poi, riguarda la costruzione di nuove centrali a carbone. Il patto prevede, infatti, che già dalla fine di quest’anno siano banditi soldi pubblici a loro favore. Eventuali progetti di quel tipo potranno essere finanziati solo dai privati. Una scelta che ha un impatto di certo in alcune aree dell’est europeo ma soprattutto in Cina, ossia il Paese con più alto consumo di combustibile fossile per la produzione di energia elettrica.


Vaccini anti-Covid
Il summit, però, non ha affrontato solo l’emergenza climatica. Nell’agenda dei “Grandi” non poteva non essere presente la campagna contro il Covid. E in particolare la distribuzione dei vaccini nei Paesi più poveri. Viene allora confermato l’obiettivo di vaccinare entro il 40 per cento della popolazione mondiale entro quest’anno e il 70 per cento entro il 2022.


Global tax
Altro accordo riguarda la cosiddetta Global minimum tax sui colossi del web.


Dazi sull’alluminio
Infine l’intesa tra Ue e Usa sui dazi imposti da Washington ai tempi della presidenza Trump su alluminio e acciaio e che verranno immediatamente rimossi. Da oggi, però, la palla passa al vertice di Glasgow.