Linkiesta, 1 novembre 2021
Lezioni sul ddl Zan mangiando una frittura di pesce
Se c’è un momento ideale per scoprire che i Buoni sono i veri Cattivi, esso è certamente quello in cui stai mangiando una squisita frittura di pesce.
Era dunque venerdì sera, e avevamo fatto l’errore d’ordinare una frittura da dividere. Sapete già come finisce, no? Che ogni commensale tenta di distrarre gli altri dal cibo e accaparrarsi più frittura di quanta gliene spetterebbe in una bolscevica distribuzione dei mezzi di nutrizione della tavolata.
Il modo in cui un’amica ha tentato di distrarre me è stato con un fintamente casuale «Hai visto che oggi Diego Passoni ha detto che di te e di Mattia Feltri non bisogna fidarsi?». Ero così stupita che ho quasi rinunciato a uno scampo. Quasi.
Personaggi e interpreti, per una più agevole decodificazione delle righe che seguono.
Diego Passoni è un conduttore di Radio Deejay e scrittore; già seminarista, già mio buon conoscente. Uno che ha il mio numero di telefono, se vuole dirmi qualcosa.
Mattia Feltri è il direttore dell’Huffington Post e uno dei migliori elzeviristi di questo povero Paese (è anche mio amico, sebbene questo non c’entri granché con la storia che sto raccontando, ma dichiariamo subito i conflitti d’interesse sennò poi i Buoni mettono su il tono di chi ti fa tana).
Mattia Feltri è anche l’unico, oltre a me, la cui posizione sul disegno di legge Zan sia stata, più volte, sintetizzabile in (parole mie) «non si capisce perché, in un Paese con una legge segregazionista come quella sulle unioni civili, non ci si occupi di ottenere matrimoni egualitari e possibilità d’adottare, invece d’andar dietro a puttanate quali la richiesta di buone maniere nei vocativi da usare per cittadini che non hanno pari accesso ai diritti civili». Ne abbiamo scritto entrambi per mesi (io la prima volta in aprile, la annoto qui perché è un’informazione che tra un po’ torna utile).
Torno a casa a frittura non ancora digerita, e vado a guardare l’Instagram di Passoni. Che ha duecentottantamila follower, per inciso. Duecentottantamila follower ai quali, venerdì, era stata raccontata la seguente fiaba (trascrivo perché le storie di Instagram scadono dopo ventiquattr’ore, e quindi non ve le posso linkare).
«Se leggete nomi come Mattia Feltri, Tommaso Cerno, Guia Soncini, che rivendicano con gioia la morte del DdL Zan perché metteva un cappottino troppo stretto alla libertà d’opinione, ecco: non cascateci. Vi spiego perché».
Prima che la spiegazione prosegua, annoto a margine l’uso del verbo “rivendicare”. Che è in effetti corretto per quello, dei tre nomi, che è un senatore e ha in effetti rivendicato (non so se “con gioia”: non faccio il confessore, non scruto nei cuori degli altri) di non essere andato in aula a votare un disegno di legge che gli faceva schifo. L’idea di mettere nello stesso ragionamento e sullo stesso piano un politico che non vota una legge e degli intellettuali che la criticano svela una povertà di strumenti dialettici un po’ preoccupante, considerato che Passoni di mestiere non affetta salumi. Ma capisco che tutto è lecito quando si tratta di mettere in guardia, in quanto Buoni, la massa dai Cattivi (neanche maestri: Cattivi e basta, Cattivi dei quali dire a quelli Buoni quanto te ma meno attrezzati di te «non cascateci»; beati i Buoni che non hanno bisogno d’avvertenze sbilenche dai loro leaderini da assemblea âgée d’istituto).
Proseguiamo. Cioè, prosegue lui, io proseguo la trascrizione.
«La libertà non è un principio disincarnato, ma è qui oggi. L’obbligo del casco ha una ratio stupida, perché in teoria uno dice “proteggiti”, ma l’istinto non è sempre autoconservativo e men che meno inclusivo, per cui bisogna un po’ forzare questo concetto di libertà, incarnarlo e servire il bene comune».
Lo so che adesso pensate che io abbia trascritto male, che abbia bevuto alcolici con la frittura, che non sia madrelingua, ma no: ha proprio usato il casco in motorino come allegoria della Zan. E io ci penso da tre giorni, e da tre giorni non ho idea di cosa c’entri.
(Forse è allegoria della libertà d’opinione? Non che questo mitighi i miei verdoniani «ma in che senso?»).
«Detto questo, proprio perché uno tiene alla libertà d’opinione, dovrebbe fare in modo che l’oggetto della propria opinione – magari cattiva, non accomodante, contraria – l’oggetto di questa opinione, quindi altro individuo, sia alla pari».
A questo punto Passoni passa dal filtro “Top Californian Look”, che serviva a farlo belloccio, al filtro “Cute Princess”, che lo fa cartone animato, e io mi ricordo perché faccio tanta fatica a prendere sul serio la militanza su Instagram.
«Perché, se siamo tutti allo stesso tavolo seduti, se siamo tutti allo stesso livello, se siamo tutti uguali, allora possiamo dircene e scornarci quanto un cane. Se qualcuno ha meno diritti ed è meno riconosciuto, non sono così libero di essere contrario alla sua esistenza e al suo modo di fare, perché vuol dire spingere con un piede la testa di qualcuno, in quanto io sono in una posizione egemone».
Fin qui ho ascoltato pensando: certo, Diego, e infatti se tu mi avessi esposto questa tua confusa posizione al telefono, oltre ad aiutarti a metterla in bella forma, ti avrei spiegato che è proprio perché i diritti devono essere alla pari che si parte dai diritti, e non dal lessico. Si rende il cittadino omosessuale uguale davanti allo Stato con assai più urgenza di quanto ci si concentri sul compagno di scuola che non deve irriderlo. (Peraltro: di tutto questo abbiamo in effetti più volte parlato al telefono, e sei sempre stato d’accordo).
Ma è a questo punto che arriva il momento in cui penso che chi ha bisogno dei Cattivi, se questi sono i Buoni.
«Quindi i primi a volere i diritti, tipo il matrimonio egualitario, dovreste essere voi, che tenete tanto alla libertà d’opinione». Ero così impegnata a urlare allo schermo «Ma brutta testa di cazzo, sono l’unica che ha scritto che il matrimonio egualitario va preteso» che mi sono anche dimenticata di obiettare (sempre allo schermo: sono ormai vostra nonna che parla col televisore) che la libertà d’opinione non c’entra una minchia.
È un ordine d’obiezioni diverso, quello che attiene alla libertà d’opinione. Ma, certo, è difficile capirlo se delle dispense Hobby&Work di retorica hai preso solo la prima, quella in omaggio, e lì dentro c’era scritto che il casco in motorino è come la multa per chi ti dà del busone.
Passoni continuava a parlare, questa volta con filtro “Tropical”.
Stigmatizzava «questa voglia di distinguervi rispetto al popolo, che spesso si muove con ragioni non tanto elaborate, perché il popolo è il popolo, e voi siete gli intellettuali», e io solo allora ho capito che, ancora più d’un corso di retorica, gli serviva uno psicanalista che risolvesse questo grave caso di proiezione.
Quello in cui, ad accusare Mattia Feltri e me di prevaricare sul popolo, era uno dei Buoni. I ricchi e famosi tra i Buoni, i quali hanno passato gli ultimi sei mesi a perpetrare la truffa di dire ai Buoni senza qualifiche, ai Buoni meno informati di loro, che la Zan era una legge che dava ai Buoni dei diritti (quali?). L’avranno pure fatto per disperazione, perché non era una legge solida abbastanza da difenderla con la verità (né con gli strumenti dialettici, dei quali abbiamo già ammirato la scarsezza), ma sempre di truffa s’è trattato.
D’altra parte, considerato che un tizio che conosco e che privatamente m’ha dato mille volte ragione su questi temi ritiene di fare propaganda postuma attribuendomi esattamente il contrario di quel che ho scritto su un tema al quale il suo pubblico è sensibile, è evidentemente nella natura dei Buoni, la truffa. Povero Passoni: come per il visconte di Valmont, trascende il suo controllo; ma non può dirlo, ché Valmont è nella squadra dei Cattivi. Non ha neanche la scusa che la propaganda falsificatrice servisse a fregarmi la frittura di pesce: è proprio solo perché, come accade quando di mestiere t’atteggi a Buono, è un frustratissimo esemplare di Cattivo.