il Giornale, 1 novembre 2021
Lunga intervista a Giuseppe Costa (quello di Costa Crociere)
I Costa stanno a Genova come Genova sta ai Costa: sono un tutt’uno. In un secolo e mezzo la famiglia icona del capoluogo ligure ha costruito un impero industriale che dal commercio e produzione dell’olio si è allargato al tessile, quindi al settore immobiliare, all’armatoriale fino alla creazione di Costa Crociere, poi ceduta, nel 1997, all’americana Carnival. Proprio in quell’anno, alcuni membri della famiglia costituivano la Costa Edutainment per la gestione dell’Acquario di Genova e del Bigo, l’ascensore panoramico della città. Era il punto di partenza di una serie di acquisizioni da parte di quello che oggi è il leader nazionale nella gestione di strutture pubbliche e private dedicate ad attività ricreative, culturali, didattiche, di studio e di ricerca scientifica.
È Beppe Costa l’anima, tecnicamente l’amministratore delegato, di Costa Edutainment dove edutainment allude all’intrattenimento che educa e allo stesso tempo diverte. È inoltre l’artefice, con altri soci, della nascita di Opera20 (ex Opera Laboratori Fiorentini), attiva nella gestione di musei (mostre, eventi culturali, biglietteria, prevendita, call center, accoglienza, sorveglianza, assistenza alla visita, didattica, audioguide, bookshop e merchandising) e dei servizi aggiuntivi museali (comunicazione, allestimenti museali, conservazione e restauro tessile). Nel portfolio di Opera20 ci sono siti come gli Uffizi, i Musei Vaticani, la Reggia di Caserta, il Parco archeologico di Pompei.
La conversazione con Beppe Costa parte proprio da un tema caldo: le strategie di gestione del patrimonio culturale d’Italia, immenso come il mare che si scorge dall’ufficio di Costa.
Per la promozione dei nostri beni culturali s’invoca l’alleanza fra pubblico e privato. A che punto siamo?
«La Breccia di Porta Pia è stata aperta. La collaborazione è in essere, è un fatto ineluttabile. Proseguirà».
La pandemia ha aiutato?
«Sicuramente. Nelle fasi di isolamento abbiamo avuto più tempo e modo di seguire programmi dedicati all’arte e abbiamo compreso quanto possa ristorarci. Anche questo accende il desiderio di comprare il biglietto di un museo, di fare donazioni, di partecipare a collette. Perché per privato intendo sia il grande investitore sia il singolo cittadino».
Cosa fare per incentivare il sodalizio pubblico-privato?
«Lo Stato dovrebbe fidarsi di più dei privati. In tema musei trovo che si sia fatto un passo indietro rispetto alla Legge Ronchey».
In che senso?
«Per esempio si fanno gare d’appalto centrate su qualche servizio, come se fossimo imprese di pulizia, sono poche le gare che vedono un coinvolgimento importante dell’operatore. Fate i bigliettai è un po’ l’approccio. Se vengono fatte gare per soli servizi, un privato che stimolo può avere ad incrementare visitatori e portare innovazione?».
E invece cosa si aspetterebbe?
«Dovremmo poter ideare il prodotto da un punto di vista concettuale realizzandolo poi con il nostro personale».
Un esempio di collaborazione?
«Penso al Museo del Brunello di Montalcino, inaugurato quest’estate. È un’operazione che ha chiesto due milioni di investimenti e comprende tutti gli aspetti. Questo consente di avere un ritorno perché organizziamo una serie di servizi comprese le degustazioni, che magari sono meno museali ma comunque culturali, senza contare che richiamano l’attenzione sul museo puro».
Dice che «gli oggetti culturali vanno resi fruibili perché solo così portiamo le persone a innamorarsene». Cosa intende per fruibili?
«Vuol dire che devo impiegare tutte le strategie possibili perché ogni persona possa vivere un’esperienza legata all’arte».
Cosa dice della strategia di portare Chiara Ferragni agli Uffizi?
«Eike Schmidt (direttore degli Uffizi; ndr) ha fatto benissimo ad invitarla. Dirò di più. Quando con Marco Goldin organizzammo mostre al Palazzo Ducale di Genova, piovvero critiche da tutte le parti perché – si lamentava – puntavamo al largo consumo. Eppure portammo al Ducale numeri mai visti. Con quale esito? Che quanti ignoravano l’esistenza del Ducale poi l’hanno scoperto. Se il signor Costa di turno non ha mai messo piede in un museo ma essendo un follower della Ferragni scopre che gli Uffizi espongono oggetti che anche lui può comprendere, magari decide di comprarsi un biglietto ed andarci».
Lei come è arrivato ad appassionarsi all’arte?
«Avevo una zia, Colette Bozzo Dufour, studiosa di Storia dell’arte. Bastava sentirla parlare con mia madre per appassionarsi all’arte. Era un piacere sentire quelle conversazioni».
Chi apprezza di più tra i direttori dei musei italiani?
«Fra gli altri, Massimo Osanna a Pompei e James Bradburne a Brera, direttori che vogliono aprire le porte a più gente possibile. Questo non vuol dire avere dieci milioni di visitatori. Da cattolico sostengo che il primo comandamento stia nel preservare e rispettare l’opera, la quale, però, allo stesso tempo, va vissuta con debito rispetto. E se faccio vivere l’opera, se la divulgo, allora il cittadino conoscendone il valore vi investirà, sarà disposto a tirar fuori qualche soldo per favorirne la preservazione; se ignora l’esistenza di questo patrimonio, non investirà mai».
Lei ha un cognome che continua ad essere associato alla Costa Crociere. Quale il ricordo più vivo dei momenti in cui la sua famiglia cedette l’azienda?
«Ricordo anzitutto quanto fosse viva in tutti noi, e in particolare in mio padre, la preoccupazione che chi subentrasse avesse rispetto dell’azienda. Avevamo offerte più speculative di quella poi accettata, io stesso ne avevo studiata una che poteva essere migliore economicamente, ma avrebbe messo a rischio l’azienda indebitandola. Anni dopo, incontrando Micky Arison, proprietario di Carnival, lo ringraziai e gli feci i complimenti. Non si era ancora verificato il caso Schettino».
Cosa succede quando pensa alla Costa Concordia?
«Che ferita. Quest’anno ricorrono i 60 anni dall’affondamento della Bianca C., tra l’altro intitolata a mia madre. Affondò senza un morto, salvo una persona colpita da un infarto. Mi dicono che tirare giù il comandante dalla nave era stata un’impresa, lo stesso accadde con una nave da carico in Norvegia. La ferita inferta dal comportamento di Schettino rimane».
Cosa è il mare per lei?
«A dire il vero sono così legato a Cortina da sentirmi mezzo cortinese. Mio papà vi andò per la prima volta a 18 anni frequentandola poi regolarmente. Penso sia stata l’unica persona a non mettere mai piede in un locale alla moda, in compenso conosceva tutti i maestri di sci. Lo sci è stato il mio primo sport, a un certo punto facevo anche delle garette».
Niente sport di mare?
«No, da ragazzo andavo in barca a vela, poi basta. Il mare mi piace tanto, l’ho qua davanti a me, lo vedo tutti i giorni dalla finestra del mio ufficio, e la cosa aiuta. Sono poi legato al mare per via dell’Acquario e per l’altra mia attività portuale».
La sua più grande passione?
«Sono gli animali. Il mio ufficio si trova all’inizio dell’Acquario, quindi sento puntualmente gli wow dei bimbi davanti alle prime vasche. Riuscire a trasmettere queste emozioni mi soddisfa, non per nulla a Costa Edutainment abbiamo aggiunto Experience perché l’obiettivo è quello di vendere un’esperienza che aiuti a sensibilizzare le persone al rispetto del mare».
Di fatto voi avete affrontato il nodo-plastica già in tempi non sospetti.
«Nel 2007 a Cattolica avevamo allestito la mostra Plastifiniamola, molto piccola, vista da pochi, però l’intento era quello di accendere i riflettori sul problema».
Che dire della parsimonia genovese? Un pregiudizio?
«Io non sono parsimonioso e tanto meno i miei genitori che erano estremamente generosi, però ammetto che ho un fratello più attento al denaro. Non possiamo negare che i genovesi sono attenti, hanno un forte rispetto del denaro. Veniamo da una terra povera e che ci ha obbligato a cercare ricchezze andando per mare, seminando e raccogliendo in posti lontani e con inevitabili incertezze: la terra ti dà più sicurezze. Poi guardi, io conosco i biellesi».
Strenuo difensore di Genova, insomma...
«Amo profondamente la mia città. Questo è chiaro. La rispetto e se posso mi attivo per promuovere iniziative che la migliorino. Partecipo tutt’ora al Festival della Scienza, sono l’unico privato genovese che contribuisce al Palazzo Ducale. Vengo da una famiglia dove è sempre stato vivo il senso della solidarietà. Genova è veramente generosa».
Non si parla mai di filantropia genovese.
«Genova è ipergenerosa, non ha le ricchezze di Milano o Roma per cui non può raccogliere fondi come accade altrove».
La Liguria è terra di comici. Quali i suoi prediletti, prescindendo da quelli prestati alla politica?
«Questi ultimi, ammetto, li devo escludere per forza perché non ero mai andato a vederli prima che facessero i politici. Mi piace Crozza, ma anche Luca Bizzarri. Al di là dei comici professionisti, noi liguri siamo considerati scontrosi, eppure abbiamo sempre la battuta pronta. Gli stereotipi sono duri a morire, ma assicuro che i genovesi si sono aperti molto, oggi hai difficoltà a trovare un tassista scontroso. E se fino a 20 anni fa, se tu fossi svenuto per strada alle 19,30 di sera ti avrebbero trovato morente o morto alle 7.30 del mattino seguente, ora Genova è viva 24 ore al giorno, si mangia ovunque e bene. Negli ultimi tempi è molto cambiata».
In che rapporto di parentela è con Angelo Costa, il leggendario primo presidente di Confindustria?
«Era fratello di mio nonno. Come dimenticarlo? Si percepiva immediatamente il suo essere fuori scala, era evidente che aveva una marcia in più, una visione diversa delle cose. È stato il primo capitano di Confindustria, anche se la Liguria non brilla per spirito imprenditoriale. Siamo più commercianti che imprenditori. Però ci sono stati grandissimi imprenditori, tanti armatori e la mia famiglia si è difesa piuttosto bene. In compenso ora Genova è molto attiva nel campo della tecnologia. Lo stesso ministro Cingolani viene dall’Istituto Italiano di Tecnologia dove ha dato un forte contributo. Tra l’altro ho una nipote ingegnere idraulico che ha fatto un’app per calcolare l’abbassamento e l’innalzamento dei flussi di acqua dei fiumi, laghi, mare. Si chiama Bianca Federici, figlia di mia sorella. In dicembre ha contribuito alla fondazione di Opera20».
Che obiettivi vi date per i prossimi cinque anni?
«Spero che chi lavora nei ministeri capisca quanto sia importante il rapporto coi privati. Si deve capire come sia vitale favorire operazioni come quelle di Montalcino o di San Gimignano dove lavoreremo per ricavare un centro polivalente di 7.000 metri fra area convegni ed espositiva, strutture ricettive ed esperienziali, residenze artistiche, un’arena da mille posti. In tutto questo, confesso che il Ministero non si è ricordato di noi in termini economici, ad oggi non ho visto un soldo né per l’Acquario né per Opera20, mentre ne ho visti per i musei non statali a Siena, dove, per esempio, abbiamo ricevuto contributi per il Duomo, viceversa nulla per gli Uffizi. Non so cosa abbiamo fatto di male al ministro Franceschini: a chi organizza mostre sono stati corrisposti aiuti per i danni da Covid, mentre a noi, che tra l’altro formiamo personale, non è stato corrisposto nulla. Vorrei per esempio ricordare come in Opera20 abbiamo il più grande laboratorio di arazzi d’Italia, solo dei folli possono investire quanto abbiamo investito noi».