Specchio, 31 ottobre 2021
Ritratto di Laurie Anderson
È difficile tentare di riassumere con un solo aggettivo la professione di Laurie Anderson, ed è troppo generico limitarsi a definirla artista. Intendiamoci, lo è certamente, e spesso di eccellente livello, ma in una carriera che è ormai quasi cinquantennale si è espressa come violinista, scultrice, pittrice, autrice di fumetti, cantante, regista, attrice, docente, coreografa, critico d’arte e, più in generale, performing artist. «Fare della performing art – racconta con entusiasmo – significa fare qualcosa così piena di una gioia selvaggia che non puoi esprimerla a parole». Ha anche inventato alcuni strumenti, modificando oggetti domestici per le proprie composizioni di musica elettronica, campo nel quale è stata una pioniera: tra i più innovativi, il cosiddetto «legno parlante», un bastone di quasi due metri in grado di replicare i suoni. Fa impressione come porti bene i suoi 74 anni, e il motivo è in primo luogo la sua appassionata curiosità intellettuale: esprime in ogni momento una vitalità esuberante, e un’attenzione a ogni cosa possa rivelarle qualcosa di nuovo o farle capire ulteriori sfumature di qualcosa che già conosce. È nata a Glen Ellyn, una cittadina a pochi chilometri da Chicago da Arthur e Mary Louise Anderson, che ha reso orgogliosi sin da giovane: è stata una studentessa modello, sia al liceo che all’università, dove ha ottenuto una laurea magna cum laude in Storia dell’arte a Barnard, prima di prendere un master in scultura alla Columbia. Ma era chiaro sin da allora che lo studio andava di pari passo con la creatività: la sua prima performance risale al 1969, quando ha cominciato a far parlare di sé con una sinfonia eseguita con i clacson delle automobili: lo sconcerto e il divertimento degli spettatori lasciarono subito il posto all’interesse e all’ammirazione. «È un miracolo grandioso, quando le cose funzionano – diceva allora – e funzionano per le ragioni più strane e folli». Subito dopo ha realizzato Baloney Mocassins, un fumetto che risente dell’atmosfera alternativa di quegli anni, mentre alternava il lavoro di critico d’arte a quello di illustratrice di libri per bambini. È il periodo in cui si è messa in mostra con performance che hanno conquistato il mondo underground newyorkese: la più celebre è Duets on Ice, nel quale suonava il violino su due pattini le cui lame erano avvolte da ghiaccio che si scioglieva gradualmente. È allora che è diventata un punto di riferimento della cultura alternativa: entra in contatto con Andy Warhol, John Cage e Philip Glass, e inizia una collaborazione con William Burroughs, teorizzando che «la libertà fa paura, molta gente in realtà non la vuole». Il successo commerciale arriva con il brano O Superman, parte di un progetto intitolato United States, ma parallelamente continua la sperimentazione, incidendo dischi insieme a Burroughs e John Giorno, mentre lavora alle colonne sonore dei film di Spalding Gray e degli spettacoli di Bob Wilson. «Il mio sogno segreto – dichiara in quei giorni – è scrivere un poema epico, e so che questa è la cosa più presuntuosa che abbia mai detto». In realtà la curiosità intellettuale si fonde con l’umiltà: nonostante fosse ormai affermata anche come interprete, comincia a prendere lezioni di canto, mentre collabora con Peter Gabriel ed estende la propria espressione artistica persino all’animazione, donando la sua voce per il film Rugrats Movie, e collaborando quindi all’Encyclopedia Britannica per il lemma relativo a New York. È anche il periodo con cui inizia a collaborare con Lou Reed, che diventerà suo marito: la loro è una storia d’amore intensa e struggente, che terminerà solo con la sua morte, nel 2013. Lo strazio che ha vissuto in quei giorni l’ha portata a impegnarsi anche nel sociale: dopo aver realizzato il film Heart of Dog, presentato al Festival di Venezia, ha affermato: «In questi giorni la gente soffre enormemente. Assistiamo al trionfo delle grandi multinazionali parallelo alla disperazione di moltissima gente, che si chiede per cosa stiano lavorando». Il suo eclettismo è riuscito a trovare nuove espressioni: registra l’audio book di The Body Artist di Don De Lillo ed è tra le ideatrici della cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Atene, quindi lavora con la coreografa Trisha Brown per il progetto O Composite e infine una mostra di dipinti sui suoi sogni, intitolata The Waters Reglitterized, che in seguito viene rielaborato in un libro intitolato Night Life. «Ritengo che l’illusione sia una delle cose più interessanti che abbia mai trovato su cui riflettere – spiega – prova a pensare a ieri, e quanto quello che stavi facendo sembra fondamentale e oggi non esiste! E così domani… quindi: dove stiamo vivendo?». Recentemente ha anche vinto un Grammy per la musica da camera, mentre continuava ad approfondire le ricerche sulle sue invenzioni sugli strumenti musicali, lavorando in particolare sui filtri, in modo da garantire a se stessa un timbro più autorevole. «È la voce della coscienza», volutamente maschile, che ha utilizzato quando si è occupata di commenti sulla situazione politica, come in Another Day in America. È stato Lou Reed a suggerirle di dare a questa nuova voce il nome di Fenway Bergamot, che è diventato un vero e proprio personaggio sulla copertina di Homeland, con tanto di baffi e sopracciglia maschili. «Il mondo è un posto strano e meraviglioso», ha ribadito nel corso di un incontro pubblico insieme a Nicole Krauss, con la quale ha fatto un viaggio in Antartide. Anche scelte di questo tipo sono dettate da una divorante curiosità intellettuale, che vive sempre con la leggerezza dell’ironia. «Il paradiso è esattamente dove ti trovi in questo momento, solo molto meglio», mi ha detto alla fine dell’incontro, poi si è messa a parlare di arte, e mi ha spiazzato, ma forse neanche troppo, scegliendo come forma di espressione prediletta la letteratura: «È il più solido strumento con cui apprendiamo cosa sia il mondo e passiamo i valori da una generazione all’altra. I libri salvano le vite».