Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2021
Così Nilde cambiò la biblioteca della Camera
Già da bambina, Nilde Iotti era consapevole dell’importanza dello studio e del peso della cultura nella vita di ognuno: il padre Ferruccio, ferroviere, non si stancava di ripeterle che l’istruzione è l’unica via di affrancamento per gli ultimi, perché solo chi sa è padrone della propria vita. E lei, pur tra mille difficoltà, studia e si laurea in Materie Letterarie all’Università Cattolica di Milano nel 1942. Quella consapevolezza trasmessale dal padre non l’abbandonerà mai.
Non stupisce, dunque, che sia stata la presidente della Camera Nilde Iotti a trasformare la Biblioteca di Montecitorio, portando a compimento un progetto avviato da anni e per cui si erano spese diverse personalità (tra le quali la deputata Maria Eletta Martini), ma che era stato rallentato e penalizzato da divergenze di vedute. Ora un libro, esito di un recente convegno, racconta la storia del complesso di via del Seminario e di colei che ne ha concretizzato la realizzazione. Come osservano nella premessa Guido Melis e Francesca Russo, che hanno curato il volume introdotto da Giovanni Solimine, molto si è scritto dell’esponente politica di Reggio Emilia: se ne è analizzato il contributo all’Assemblea Costituente e quello degli anni successivi, si sono esplorate le sue battaglie per i diritti delle donne, ci si è soffermati sull’equilibrio mostrato nei tredici anni della presidenza a Montecitorio, si è citato il suo costante richiamo ai principi della Costituzione. «Mancava – ricordano – forse un ultimo elemento, sinora considerato solo di sfuggita, quasi come se costituisse un tassello minore della sua opera: l’azione in favore della costruzione di quello che di lì a poco – grazie anche all’analogo processo sviluppatosi nel Senato – sarebbe stato il sistema bibliotecario del Parlamento repubblicano».
Il 14 dicembre 1988 vengono dunque aperti al pubblico gli spazi di via del Seminario, e questa è una grande innovazione decisa dalla presidente, che fissa a 16 anni il limite minimo d’età per l’accesso (anziché a 18, come si pensava in un primo momento): la biblioteca, sino ad allora riservata ai deputati, diventa patrimonio della collettività. Tutti – studiosi, ricercatori, studenti, cittadini comuni – devono poterne usufruire. In dodicimila metri quadri, sono trasferiti da Palazzo Montecitorio e altri siti oltre 8oomila volumi e 1.200 riviste (alcune difficilmente reperibili in Italia), da organizzare e collocare su 24 chilometri di scaffalature. Un’operazione che richiede quasi due anni, all’indomani del lungo e delicato restauro della struttura conventuale, come racconta Emilia Lamaro, prima direttrice della “nuova” biblioteca inaugurata con una lectio di Norberto Bobbio su La Rivoluzione francese e i diritti dell’uomo.
E se le pagine di Fernando Venturini portano chi legge negli anni addietro di questa istituzione, partendo dalla stagione della Costituente, Antonio Casu ricorda l’identità e la prospettiva tratteggiate da Iotti, e cioè l’indirizzo disciplinare storico-politico-filosofico e giuridico, la vocazione culturale (la biblioteca organizza e ospita anche delle mostre) e quella territoriale che si esprime attraverso donazioni librarie a piccoli centri, case di reclusione, scuole, centri di formazione professionale, associazioni di volontariato. Inoltre Casu sottolinea la progressiva crescita dall’anno del trasferimento a oggi: il patrimonio bibliografico è raddoppiato, è stato digitalizzato il catalogo, è nata la collana delle Attività parlamentari.
Completano il volume gli interventi di Francesco Soddu sullo studio della storia dei Parlamenti moderni e quello di Antonella Meniconi, che menziona alcuni preziosi fondi e repertori della biblioteca riferiti al periodo fascista e alla fase della transizione dal 1943 al 1948, cruciali per gli storici delle istituzioni (e non solo: leggere, ad esempio, gli atti parlamentari di quella stagione, disponibili online, è istruttivo per tutti).
Infine, i contributi dedicati a Nilde Iotti, scritti in apertura da Francesca Russo, in chiusura da Livia Turco (preceduto da un breve ricordo del regista Peter Marcias): se ne è scritto, è vero, ma non è mai abbastanza, come dimostra questo libro. La “sua” biblioteca le è stata intitolata il 2 aprile 2019.