Questa è la storia di Timofej Andrijashenko, detto Tima, nato 27 anni or sono a Riga in Lettonia, primo ballerino della Scala; e di Nicoletta Manni, 30 anni, di Galatina, provincia di Lecce, prima ballerina della Scala.
Compagni sulla scena e nella vita, a volte avversari. Come è accaduto nel loro primo incontro.
Tima : «Era il 2012, un concorso nel quale io ero ancora studente mentre lei faceva già parte di un corpo di ballo. Noi allievi la ammiravamo come professionista, eravamo in soggezione. Non ebbi il coraggio di avvicinarla e lei non mi filò. La rividi alla Scala, in una sala prove.
Tutto cominciò quel giorno».
Nicoletta : «Ci siamo conosciuti da nemici. Io arrivai prima, lui secondo. Anche dopo non mi accorsi che mi stava corteggiando, ci volle un po’ di tempo per rendermi conto che avevo trovato l’amore in famiglia».
T .: «Lei è una compagna eccezionale, una giovane donna incredibile. E una cuoca straordinaria, l’ho detto e ora mi aspetto gli attacchi social…».
N .: «La professione è parte fondamentale della nostra vita, ma quello che più ci unisce è la complicità che abbiamo trovato, l’equilibrio che siamo riusciti a costruire tra lavoro e privato.
Siamo molto diversi, ma questo ci aiuta fino a renderci complementari. La più rigorosa sono senza dubbio io».
T .: «Nella danza sono stato catapultato, per punizione. Sono stato un bambino iperattivo, insofferente alle regole. Con gli amici del cortile giocavo ovunque a calcio, poi facevo nuoto, karate, bob, pallanuoto e beach volley. Da un giorno all’altro mio padre mi annunciò che mi aveva iscritto all’Accademia statale di danza classica a Riga. Imparerai la disciplina, mi disse. Per me fu uno shock, nella mia testa di bimbo ne avevo una percezione stereotipata, come di una cosa da femmine. Provai l’amaro dell’odio».
N .: «Vivevo nella frazione di Santa Barbara, credo che abbia non più di cento abitanti. Diciamo che sono figlia d’arte, la mia mamma è una insegnante di danza. Così ho cominciato a due anni e mezzo.
All’inizio l’ho vissuta come un gioco, ma presto ho capito che era quello che volevo fare nella vita.
Avevo dodici anni quando chiesi a mia madre di portarmi alla Scala per un’audizione. Mi presero».
T .: «Poi è scattato qualcosa, dopo il primo saggio di fine anno. Mi sono reso conto che in scena ero veramente a mio agio e che, guardandomi indietro, mi ero divertito tantissimo fino ad allora anche se faticavo ad ammetterlo. Il mio entusiasmo, la mia energia incontrollata avevano trovato un fuoco, una traiettoria».
N .: «La danza impone disciplina e armonia ai movimenti, ma forma anche a livello caratteriale. Un ballerino è un ballerino in ogni cosa che fa».
T .: «Alla fine dei cinque anni di Accademia ho vinto una borsa di studio per il Russian Ballet College di Genova. Il primo anno lontano da casa è stato difficile, implorai mia madre: voglio tornare, è troppo dura. Ricordo che una sera al telefono rispose così alle mie lacrime: calmati, dormici su, pensa a qualcosa di bello. Vedrai che domani andrà meglio, poi mi chiami e ne riparliamo. Non lo pensavo possibile, eppure il giorno dopo mi sono svegliato più forte. A 16 anni ho perso mio padre, un dolore terribile dal quale mi sono risollevato solo grazie alla danza. Ci misi dentro la sofferenza e la rabbia e vinsi il Moscow International Ballet Competition nella categoria juniores, le nostre Olimpiadi che si svolgono ogni quattro anni sul palco del Bolshoi».
N . «Trasferirmi a dodici anni dalla mia piccola realtà a una città come Milano è stato un enorme cambiamento, ma l’ho vissuto come il realizzarsi di un sogno. È stato bello dunque, nonostante il sacrificio di vivere lontano da casa, in un convitto di suore. Oggi, ogni volta che metto piede su un palco, riesco a trasmettere un’emozione al pubblico, mi nutro di un applauso, sento di essere completamente ripagata delle fatiche che sopporto ogni giorno».
T .: «Non posso elencare i tanti che mi hanno messo a disposizione il loro talento, ma non dimentico il mio primo maestro di danza a Riga e poi Irina Kashkova che mi ha permesso di fare il salto di qualità e di venire a studiare stabilmente in Italia. È stata la mia seconda madre artistica. Si incontrano molte persone nel nostro mestiere e tutte sono preziose. È una delle cose che mi ha insegnato la danza: saper attingere dall’arte di tutti.
Un ballerino non smette mai di imparare, dal più anziano come dal più giovane. E questo, in automatico, ti insegna a avere rispetto dell’altro».
N .: «Posso dire di essere stata molto fortunata perché a 17 anni sono entrata nella Compagnia di Berlino. Era il mio primo lavoro dopo il diploma alla Scala e lì ho trovato una ballerina che ho sempre amato molto, Polina Semionova.
Un’artista unica, umile ma di grande spessore, che mi ha insegnato a considerare ogni successo un punto di partenza. Sono prima ballerina dal 2014, ero molto giovane, avevo solo 22 anni. Da lì è cominciato un percorso bellissimo che mi porta ogni giorno a superare un passaggio successivo».
T .: «Spesso mi domando se ho imparato la disciplina e l’armonia. Non trovo risposta, so che ora conosco quali sono le mie responsabilità, qual è il mio posto a questo mondo.
L’armonia è un po’ come la pace, non la troverò mai fino in fondo. La perfezione non esiste, è solo una sirena che ti chiama, ti lusinga e non puoi non seguirla, anche se sai che non la raggiungerai mai.
Ma sono felice, questo sì, ora posso dire di essere felice».
N .: «Più si ha e più si vuole. Credo sia importante non smettere di porsi dei traguardi, degli obiettivi, di rincorrere i desideri. Ne ho tanti: ruoli da danzare, palchi da solcare e anche sogni di vita privata. Ma sono ancora giovane e credo che potrò raggiungere, lo spero, ancora molto. Ho avuto tantissimo dalla Scala e dall’Italia, sogno di danzare in tanti teatri come il Bolshoi dove sono stata invitata nel 2019. Il mondo di un ballerino è immenso».
T .: «Oggi mi sento alla Scala un Moschettiere del Re. Diventerò un grande ballerino? Non credo di esserlo, ma ho avuto l’opportunità di diventare un artista. E anche per questo non esistono classifiche».