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 2021  ottobre 31 Domenica calendario

Intervista a Maurizio Costanzo

Maurizio Costanzo, mercoledì parte la quarantesima stagione dello show che porta il suo nome. Come cominciò?
«Lo facevo una volta alla settimana, su Rete 4, che era di Mondadori. Berlusconi comprò tutto con me dentro. Mi chiamò a Portofino, c’era pure Freccero, e disse: d’ora in poi lo facciamo tutti i giorni». 
Chi furono i primi ospiti? 
«Eva Robbins, che si chiama in realtà Roberto Coatti. Dissi che era come le carte da gioco: metà uomo, metà donna. E Paolo Villaggio, che avevo scoperto io». 
Cioè? 
«A Genova mi suggerirono di andare in un teatro di piazza Marsala, dove si esibiva uno strano impiegato. Era lui. Uscimmo a cena e firmammo il contratto su un tovagliolo del ristorante. All’epoca avevo un cabaret a Roma, il Sette per Otto. Fu un trionfo, vennero a vederlo Flaiano ed Ercole Patti. Poi Villaggio andò in tv, e nacque Fracchia». 
Al Costanzo Show cominciarono gli Uno contro tutti. 
«Per Bossi scoppiò una rissa. Si menarono proprio: leghisti contro gli altri, sotto gli occhi dell’Umberto. Carmelo Bene invece litigò con il pubblico, e si prese gli insulti della prima fila». 
Com’era Carmelo Bene? Antipatico? 
«La simpatia non è la misura delle persone. Carmelo Bene era un uomo intelligentissimo. Quando morì, andai con Proietti nel Salento, a rendergli omaggio”. 
E Alda Merini? 
«Venne a raccontare gli elettrochoc che aveva subito. È stata una delle grandi voci del Novecento. La salvammo dallo sfratto». 
Montanelli? 
«Confessò che non si dava pace per non aver potuto aiutare sua moglie, Colette Rosselli, a morire. A Montanelli devo tutto». 
Perché? 
«Mio zio mi faceva leggere i suoi articoli sulla terza pagina del Corriere. Mi invaghii. Così, a 14 anni, gli scrissi una lettera. Incredibilmente mi rispose. Mi invitò alla redazione romana. Poi nella sua casa di piazza Navona, a pranzo con Carlo Laurenzi: un uomo raffinatissimo, che lo divertiva con i suoi bon mots. Montanelli mi ha seguito per tutta la vita. Mi fece pure assumere da Afeltra al Giorno». 
Come aveva cominciato? 
«Da volontario, a Paese Sera. Capo dello sport era Antonio Ghirelli. Mi assegnò un reportage sul giro del Belgio. Firmai Maurice Constance. Poi mi affidarono una serie di interviste: gli scrittori e lo sport». 
Da chi andò? 
«Da Pasolini. E da Curzio Malaparte, che viveva in albergo, circondato dai suoi bassotti, tra cui uno chiamato Curtino. Da allora pure io ho sempre avuto bassotti». 
Anche Scalfari fu spesso suo ospite. 
«Uomo di grande fascino. Lo incontrai in aereo: aveva appena fondato Repubblica, io dirigevo l’Occhio. Disse: mi sa che nel giornale devo metterci un po’ di sport anch’io». 
Lei entrò nella P2. Perché? 
«Per stupidità. Un amico – non lo nomino perché non c’è più – insistette, e io gli diedi retta. Stupidità in parte emendata dal fatto che confessai subito, e feci bene». 
Di Andreotti che ricordo ha? 
«La prima volta venne a Bontà loro. Arrivò in anticipo, lo trovai già seduto in studio, e pensai a uno scherzo, credevo fosse Noschese. Un’altra volta raccontò che aveva fatto la dichiarazione d’amore a Livia, la donna della sua vita, al cimitero. Alla fine mi disse: “Pensa che due miei compagni di scuola sono diventati cardinali; loro sì che hanno fatto carriera”. Andreotti era primo ministro. Ma per lui il Vaticano contava più dell’Italia». 
Cossiga? 
«Andai a trovarlo durante il caso Moro. Lui era ministro dell’Interno, io direttore della Domenica del Corriere. Gli chiesi cosa si sapesse. Cominciò a urlare: “Di Moro non sappiamo un cazzo!”. Capii che era disperato». 
Trump? 
«Lo intervistai a New York, dopo l’11 settembre. Gran paraculo. Poi andai al Madison Square Garden a parlare con gli italoamericani. Lì ho capito cos’è la ‘ndrangheta». 
Cioè? 

«Tutti tenevano in casa la foto di Mussolini. Una volta, nel New Jersey, chiesi del bagno: aveva i rubinetti d’oro». 
Falcone? 
«Venne allo speciale su Libero Grassi, che condussi con Santoro. Fu un grande amore. E fu un immenso dolore quando lo uccisero. Tornai a Palermo per la morte di Borsellino, sentii l’odore della polvere da sparo. Io la mafia l’ho vista». 
Cos’ha pensato leggendo la rivelazione della Boccassini sul loro amore? 
«Ci sono rimasto un po’ male. Sono felice se Falcone è stato contento, se sono stati bene insieme. Ma lui è morto con la moglie... Ci sono cose che è meglio tenersi per sé». 
La mafia tentò di uccidere pure lei. 
«Riina disse: “Questo Costanzo mi ha rotto”. Cominciarono a pedinarmi, a spedirmi lettere anonime, ma non ci feci caso. Seppi poi che Messina Denaro era venuto nel pubblico dello Show, per vedere il teatro». 
Una bomba. La sera del 14 maggio 1993. 
«Fu un miracolo. Il mio autista mi aveva chiesto un giorno libero, e l’avevo sostituito con un altro, che conosceva meno bene la strada. Esitò al momento di girare in via Fauro, e questo confuse il killer che doveva azionare il detonatore. Sentimmo un botto pazzesco. Tra me e Maria passò un infisso». 
Come reagiste? 
«Andammo a casa. Il telefono stava squillando: era Mancino, il ministro dell’Interno. Poi arrivarono poliziotti, carabinieri... solo allora realizzai di essere un sopravvissuto. Sono convinto che mi abbia salvato mio padre». 
Suo padre? 
«È morto che avevo ventidue anni, non ha potuto vedere quello che ho fatto. È il mio grande rimpianto. Non c’è mattina in cui mi sveglio e non penso a papà mio. È come un angelo protettore. Spero tanto di rivedere lui e la mamma». 
Quindi crede nell’Aldilà? 
«Ci spero. Credo un po’ anche alla reincarnazione: da secoli siamo sempre gli stessi. Io ad esempio penso di essere stato un monsignore. Ma mi sarebbe piaciuto vivere a Betlemme, e veder arrivare i Re Magi». 
Fellini? 
«Ho qui la sua foto con dedica. Federico mi ha sempre entusiasmato. Gli riusciva tutto, anche i disegni, le caricature. Abbiamo avuto grandi registi: su tutti, Antonioni e Scola, con cui scrissi la sceneggiatura di Una giornata particolare». 
È vero che scrisse pure il testo di «Se telefonando» di Mina? 
«Certo che è vero. Era il 1966, con Ghigo De Chiara dovevamo preparare la sigla di chiusura del programma Rai di cui eravamo autori, “Aria condizionata”. Cercammo Ennio Morricone. Lui aveva appena sentito passare una sirena della polizia: con quel suono nelle orecchie si mise al pianoforte, e in un baleno compose la musica. Mina cantò le nostre parole e suggerì una correzione. Il testo originale diceva: “Poi nel buio all’improvviso/ la tua mano sulla mia...”. Secondo Mina era ambiguo. Così le mani divennero due: “Le tue mani sulle mie...”». 
Mina in tv non va più. 
«Non capirò mai la sua sparizione. Un artista non abbandona mai la scena». 
Sgarbi? 
«Si rivelò fin dal debutto, quando insultò un’insegnante che aveva declamato una sua poesia: “Stronza!”». 
Non «capra»? 
«Quella venne dopo». 
Platinette? 
«Una sera si sfilò la parrucca, e ridiventò Mauro Coruzzi». 
Berlusconi? 
«Prima della discesa in campo ci chiamò tutti ad Arcore, c’erano anche Mentana e Giuliano Ferrara. Alla fine lo presi da parte e gli dissi: io non ti voterò mai, ma non dirò mai una parola contro di te». 
Davvero può salire al Quirinale? 
«A vedere i numeri, la possibilità c’è. Ma chi glielo fa fare?». 
Salvini? 
«Al Papeete si è evirato. Si è fatto del male da solo». 
La Meloni? 
«È molto sveglia». 
Sarà lei la prima donna presidente del Consiglio? 
«Non mi faccia dare una risposta maschilista». 
Renzi? 
«Mi aveva colpito all’inizio, poi mi ha deluso. Ora mi piace Draghi. E spero continui a piacermi». 
I 5 Stelle? 
«Ho avuto simpatia per loro; e non solo perché Grillo mi è simpatico. Stimo Di Maio. E Sileri, che mi ha raccontato che guardava le mie interviste in tv da bambino». 
Lei è stato anche consulente della Raggi. 
«Le ho solo dato qualche consiglio». 
Che non è bastato. 
«Il partito non le è stato molto accanto». 
Chi ha votato a Roma? 
«Raggi. Poi Gualtieri al ballottaggio. Ma l’ospite della prima puntata sarà Beppe Sala. Poi farò una serata arcobaleno, con Zan e Leo Gullotta. Giuseppe Cruciani scriverà alla lavagna i buoni e i cattivi della settimana. I politici verranno solo accompagnati da un parente: Gasparri con la figlia, la Meloni con la sorella... E raccoglierò gli sfoghi del pubblico. I racconti migliori sono quelli della gente comune». 
Ad esempio? 
«Ho trovato una donna che ha avuto due gemelle e le ha chiamate Maurizia e Costanza». 
Come incontrò Maria De Filippi? 
«A Venezia, in un convegno. Poi mi raggiunse a Roma. Monica Vitti la sentì parlare nella stanza a fianco, senza vederla, e mi disse: “Senti che voce profonda, pare la mia. Dev’essere una donna intelligente...”. Insomma, Maria ebbe la benedizione di Monica Vitti. L’anno scorso abbiamo festeggiato le nozze d’argento. Il quarto matrimonio finalmente è stato quello giusto». 
Ma lei cosa fa alle donne? 
«Le ascolto. E le trovo più intelligenti degli uomini». 
Quanto conta il potere nella seduzione? 
«Può agevolare. Ma il potere vero ce l’hanno gli Andreotti, i Draghi. Che potere è quello di invitare un cantante?». 
Però quando a Canale 5 arrivò Pippo Baudo, lei gli fece la guerra. 
«Un po’ sì. Ma quello voleva comandare. Cominciò a sgridare la gente... Ora siamo in ottimi rapporti». 
Sgridò anche lei? 

«Non esageriamo».