Corriere della Sera, 31 ottobre 2021
Che cos’è la global minimum tax
La «global minimum tax» è, finora, l’unico risultato concreto raggiunto dall’Amministrazione Biden a livello internazionale. Un successo politico e diplomatico netto, pulito, dopo il rovinoso ritiro dall’Afghanistan.
Il G20 dei Capi di Stato e di governo ha ratificato l’accordo raggiunto da 136 Paesi dell’Ocse l’8 ottobre scorso e che entrerà in vigore nel 2023. Lo schema si basa su due «pilastri». Il primo prevede che le grandi multinazionali, con fatturati superiori ai 20 miliardi di euro, dovranno versare almeno una quota di imposte nei Paesi in cui operano effettivamente e non in quelli in cui hanno la sede legale. Il secondo impone che in tutti gli Stati venga adottata un’aliquota minima del 15% sugli utili di impresa.
Nel concreto queste due misure dovrebbero consentire di recuperare oltre 130 miliardi di dollari, elusi soprattutto dalle grandi società, a cominciare da quelle americane come Apple, Pfizer, Microsoft, General Electric,Ibm, Johnson & Johnson,Cisco System,Merck, Google,Exxon. Ma anche la svizzera Nestlè o la tedesca Volkswagen.
L’idea è di spezzare la spirale che consente, per esempio, a Facebook di accumulare ricavi in ogni Paese del mondo, ma di pagare le imposte in Irlanda, dove l’aliquota è pari al 12,5%.
In Italia
Con il nuovo sistema si rinuncerà alla «digital tax»: il gettito resterà
di 250 milioni l’anno
Sarà, quindi, il fisco americano a trarre i benefici maggiori. La Segretaria al Tesoro, Janet Yellen, stima di poter recuperare circa 50 miliardi di dollari all’anno. Non è un caso. È stata proprio Yellen a rilanciare un negoziato che languiva dal 2013. Certo, ha dovuto ridimensionare la proposta iniziale, che contemplava un’aliquota minima del 21%: subito respinta da Stati come l’Irlanda, appunto, l’Estonia, l’Ungheria e altri che hanno impostato l’intera politica economica su un regime fiscale agevolato. Ma in pochi mesi Yellen è riuscita a compattare la comunità internazionale, compresi la Cina e i paradisi fiscali più gettonati. La Segretaria al Tesoro ha fatto sponda con la Commissione europea per convincere irlandesi e ungheresi a salire a bordo. E, naturalmente con la presidenza italiana del G20. Dal protocollo restano fuori solo Pakistan, Kenya, Nigeria e Sri Lanka.
Per l’Italia i calcoli sono più complessi, perché l’introduzione della «minimum tax» comporta la rinuncia alla «digital tax» che colpisce i giganti del digitale. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha spiegato che la staffetta tra la nuova imposta e quella in vigore non cambierà l’ammontare del gettito fiscale proveniente da Google, Apple, Facebook eccetera: circa 250 milioni di euro all’anno.
Nello stesso tempo, però, bisognerà capire come si comporteranno quelle multinazionali italiane che, adottando strategie di «tax planning» finora legittime, dichiarano almeno una parte dei profitti all’estero, come Finmeccanica, Pirelli, Generali, Unicredit e altri. Secondo le stime del britannico «Independent commission for the reform of international corportation», di cui fanno parte economisti come Joseph Stiglitz e Thomas Picketty, stiamo parlando di circa 7-10 miliardi di euro.