Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  ottobre 31 Domenica calendario

Stroncatura di "Tre piani" di Eshkol Nevo

Una volta nella rubrica di etica sul magazine del «New York Times» ho letto questo caso: un padre ogni giorno va a prendere a scuola i tre figli e un loro compagno, ma la sua macchina ha solo tre sedili con le cinture di sicurezza, oltre a quello del guidatore; il quinto posto ne è sprovvisto. Chi dei bambini deve stare sul sedile non protetto? Uno dei figli? L’amichetto? Questo era il dilemma che il papà automunito poneva. Non ricordo la risposta del giornale. E non so nemmeno se una risposta può esserci (io correrei in carrozzeria a far montare una cintura in più invece di rivolgermi al «Nyt»). Eshkol Nevo scrive storie che potrebbero essere quesiti di quella bella rubrica. E, in generale, quasi tutti gli scrittori israeliani propongono spesso ai lettori romanzi di questo tipo. Non sono i miei romanzi preferiti, li trovo didascalici, vagamente ricattatori. Tre piani, ormai un libro di culto, narra un intreccio di destini in un condominio della buona borghesia di Tel Aviv (designer, avvocati, giudici). E i temi sollevati (ma un romanzo non deve mai avere un tema, ammonisce Stephen King) sono da dossier di telegiornale: pedofilia, truffe finanziarie, rapporti genitori/figli. Nevo è un professionista, bravo nella costruzione, vario nella conduzione, però grigio e schematico nei personaggi. Si resta nell’ambito del teorema (letterario). Da Tre piani ha tratto un film Nanni Moretti e molto se ne sta discutendo. Il compito era difficile, il libro è poco filmico. Nella prima parte il regista/attore (capocomico, si diceva una volta) se la cava. Poi, vuoi per le storie quaresimali, vuoi per gli attori catatonici (a parte il mio prediletto Tommaso Ragno), vuoi perché il regista viene forse un po’ intortato dalle sceneggiatrici, il film imbocca un binario morto. Qualche anno fa Moretti lesse in uno struggente audiolibro I sillabari di Goffredo Parise, opera epocale. Che film meraviglioso ne farebbe (stile Robert Altman con Raymond Carver), senza bisogno di andare fino a Tel Aviv.