La Lettura, 31 ottobre 2021
Fabio in Volo su una Fiat 850 Spider
Quando sale e prende il volante fra le mani gli brillano gli occhi, anche da dietro gli occhiali da sole: «Stamattina l’ho guidata per la prima volta, mio padre ne aveva una identica, nera, ma l’ha venduta che non ero ancora adolescente». Non ha fatto in tempo a guidarla, allora, ma a viaggiarci sì: «Mi ricordo quando ero seduto lì, al posto del passeggero. Andavamo in giro, a prendere il gelato. Mio padre la teneva in garage e quando la tirava fuori per lui erano delle mini-vacanze, i suoi attimi di felicità». L’auto è una Fiat 850 Spider, una «due posti rossa con una capote di tela nera», e oggi gira tutto intorno a lei. A cominciare da Fabio Volo, che la guida e ritorna bambino: «È una madeleine, ha anche lo stesso profumo di allora».
La cabrio fine anni Sessanta – proprio questa: rosso fiamma, sedili scuri, interni in finto legno – è anche sulla copertina del nuovo romanzo dello scrittore-attore-conduttore radiotelevisivo, l’undicesimo, Una vita nuova («non ho messo “la”, Dante ci sarà rimasto male», scherza), che esce il 2 novembre per Mondadori.
Intorno a un’auto identica gira anche la storia del libro: il protagonista – Paolo, quarant’anni e dintorni, assicuratore, un figlio di 6 anni e un matrimonio che non sta più in piedi – decide di ritrovarla per riportarla a suo padre. Che l’ha perduta e non l’ha mai scordata, e forse rivedendola sarà di nuovo felice. Come quello di Volo, anche il padre di Paolo l’aveva comprata da giovane e poi venduta quando erano arrivati i due figli, la vita cambiata, la due posti sportiva diventata stretta. Corto circuito tra realtà e finzione, Volo, finito il romanzo, ha provato a cercare la spider del padre, scomparso qualche anno fa: «A differenza di Paolo – racconta a “la Lettura” mentre è a bordo dell’auto – sapevo il nome di chi l’aveva comprata e ho chiesto in radio, durante una mia trasmissione, se qualcuno ne avesse notizie. Mi ha chiamato la figlia del compratore: anche suo padre è scomparso da poco, aveva venduto l’auto ma lei non sapeva a chi». Volo, per seguirne le tracce, sta cercando di risalire al numero di targa della spider, che non si vede sulle vecchie polaroid di casa, ma gli uffici chiusi causa Covid hanno rallentato le ricerche.
Paolo, invece, nel romanzo l’auto la ritrova: in Puglia, a Ceglie Messapica («una regione che amo, e Ceglie è il paese di uno dei miei amici più cari: ho dato il suo cognome all’uomo da cui nel libro Paolo ricompra la spider») e vola in aereo a riprendersela. Da lì la riporta a Milano, con un amico, in un viaggio on the road che sarà il romanzo, e la scintilla della sua «vita nuova». «La storia – racconta Volo – era nata in origine come un soggetto per un film, solo dopo è cambiata e diventata un libro. Ma mentre scrivevo, me la vedevo succedere davanti».
Forse diventerà un film davvero, come sta accadendo al romanzo numero 10, Una gran voglia di vivere («quanta vita ho messo nei miei titoli»). In entrambi, come in tanti dei libri di Volo, si viaggia parecchio: «I miei libri sono sempre viaggi interiori appoggiati su viaggi esteriori. Un po’ perché viaggiare mi piace, un po’ perché mi dà la possibilità di indagare su me stesso. Uscendo dalla routine vedi la tua vita da un punto di vista nuovo, hai l’occasione di rivalutarla, di rompere la dinamica che si crea quando sei con le persone che ti conoscono da tanto. Vecchi amici, famiglia, spesso ti rimandano un’idea di te ferma a dieci anni fa, ma tu nel frattempo sei cambiato: nel viaggio, l’incontro con lo sconosciuto ti permette di essere quello che sei veramente in quel momento». Nel romanzo precedente il viaggio era in Nuova Zelanda, in camper, qui si attraversa l’Italia da sud a nord, su una Fiat 850: «All’inizio l’auto doveva essere un’altra, una Giulietta o un Duetto, ma più scrivevo e più mi avvicinavo a mio padre: alla fine mi è sembrato giusto che quella del libro fosse realmente la sua 850, l’auto che era stata il suo momento di felicità».
Tra amarcord e prese di coscienza, pit stop e voglia di leggerezza (si passa da Pescara, da San Benedetto del Tronto, ma la tappa più lunga è quella di Zocca, nel Modenese, inevitabile omaggio a Vasco Rossi: «Era un amico già prima di conoscerlo davvero, uno di quelli che ti fanno sentire meno solo perché ti riconosci in quello che raccontano»), questo romanzo non parla di lockdown ma qualche cosa, si capisce, nasce anche da lì. «Non è stata una scelta consapevole – dice Volo – ma probabilmente il libro risente di quell’esperienza: il desiderio di libertà, di muoversi, di avere il vento tra i capelli». I mesi della chiusura lui – bresciano di casa a Milano, Roma, New York... – li ha trascorsi in Italia: «Eravamo fuori con un’altra famiglia, per un weekend lungo, e ci siamo ritrovati a passare insieme anche il lockdown: i bambini hanno giocato tra di loro e noi adulti avevamo turni delle pulizie più distanziati. Io ho continuato a fare la radio, da casa, ho fatto Orchite show su Instragram e poi tante focacce, cose manuali. So che in molti hanno scritto di più, chiusi in casa, io no, ho bisogno di stare in mezzo alla vita. E poi quel senso di paura non mi aiutava: scrivo quando sto bene».
Per finire Una vita nuova ha impiegato un anno: «Scrivo ovunque, in treno, in casa, in vacanza, in mezzo alla gente. Quando scrivo ho sempre carta e penna, per annotare le idee, poi il computer mi dà l’ordine che io non ho. Rileggo tanto, tantissimo. Solo per l’ultima fase della stesura, quella più intima, ho bisogno di stare due o tre settimane totalmente solo, in un posto che sento mio. Questa volta è stato in Sardegna, in camper». Per la prima volta, racconta, con Una vita nuova ha cominciato un romanzo senza sapere dove lo avrebbe portato: «Quando parto ho sempre un’idea in testa, so che cosa voglio raccontare. Stavolta mi sono basato più su un sentire che su un ragionamento, procedevo nella nebbia. Mi spingeva a scrivere la voglia di leggerezza, di raccontare una storia di amicizia, divertimento, umanità e tenerezza, come un bel sabato sera tra amici». Il risultato è un libro diverso dagli altri suoi dieci, più intimo, forse per i risvolti autobiografici, che affronta terreni meno battuti dalla sua narrativa. L’amicizia maschile, per esempio: «Forse rispecchia la fase che vivo: sono partito dalla provincia per inseguire i miei sogni e ora ci torno, e ritrovo gli amici di sempre, quelli che ti conoscono nel profondo, il collante di tante esperienze».
Poi c’è la coppia (qui in crisi), tema portante di tante storie di Volo ma, più ancora, qui si sentono i genitori. E il rapporto che hanno con i figli. Se sono tristi, si legge nel libro, neanche i figli saranno felici: «Volevo raccontare una fase della vita in cui il protagonista vuole imparare a godersi la vita, essere più leggero, smettere di essere ossessionato da cosa è giusto o non giusto fare. Per farlo, io personalmente ho dovuto fare i conti con il rapporto con mio padre, un uomo complesso, mai entusiasta, triste, per certi versi». Il padre di Fabio, si legge in tutte le sue biografie, aveva una panetteria e per un po’ hanno lavorato insieme prima che il figlio tentasse la strada dello spettacolo: «Era un mondo che lui e mia madre non conoscevano. Quando poi sono diventato famoso non hanno mai voluto farne parte; sono rimasti gli stessi di sempre con me ed è stata la mia fortuna, mi hanno tenuto coi piedi per terra».
E Fabio Volo padre, com’è? «Con i miei figli penso che la cosa più importante sia mostrare loro che sono davvero felice, insegnargli la gioia di stare al mondo, e in questo più che quello che dici conta quello che senti, l’esempio vivo che dai». È per i suoi figli di 8 e 6 anni, racconta, se da poco ha ricomprato una Fiat 500 uguale a quella che aveva da neopatentato: «Mi piace portarli in giro, o a scuola in auto quando piove: è una macchina che mette allegria, così diversa da quelle che conoscono loro. E poi c’è l’effetto nostalgia, mi ricordo quando ci andavo in giro con gli amici: ci stavamo anche in quattro, in cinque, non so come». Ancora un’auto, ancora un padre.