La Lettura, 31 ottobre 2021
Due libri su Carlo Azeglio Ciampi
Ovunque sia passato, Carlo Azeglio Ciampi ha lasciato il segno del suo fattivo riformismo. Come governatore della Banca d’Italia ha separato Tesoro da Banca d’Italia e avviato la più importante modificazione del sistema bancario dopo quella del 1936. Come presidente del Consiglio dei ministri, ha fatto partire le privatizzazioni, assicurato la gestazione della riforma elettorale, inaugurato una nuova stagione di modernizzazione dell’amministrazione, promosso un accordo sulla politica dei redditi. Quale ministro del Tesoro, ha governato la manovra del 1996 e condotto l’Italia nell’euro con «una grande pacatezza, unita all’ansia dello scolaro che vuole fare bene il compito», benché tra i protagonisti del negoziato sopravanzasse tutti per cursus honorum, come osserva Mario Monti nel suo scritto raccolto nei due volumi Carlo Azeglio Ciampi 1920-2020 (Edizioni della Normale). Come capo dello Stato, ha coltivato un patriottismo non nazionalistico, che usò per collegare il presente al passato, in vista di un futuro possibile; avendo a che fare con un governo fortemente legittimato dal Parlamento, con cui non mancarono attriti, ritenne necessario stabilire un legame con l’opinione pubblica, come nota Massimo Luciani nel suo contributo. Dette così tratti originali alla figura «enigmatica e sfuggente» (così uno dei nostri maggiori costituzionalisti) del capo dello Stato.
A questo spirito innovatore corrispose uno stile fatto di capacità di impadronirsi con rapidità dei problemi, di attenzione a non perdere di vista la direzione di marcia, di abilità nel giudicare gli uomini e di metterli alla prova, di ingegnosità nell’escogitare soluzioni, di capacità di reinventarsi e di reinventare le istituzioni in cui è passato: pensate a chi, educato da Giorgio Pasquali, deve misurarsi con Franco Modigliani, oppure a chi, mai eletto dal popolo, è chiamato a ricoprire i più alti uffici pubblici, e lo fa con un grande senso della democrazia.
Ciampi non fu uno di quelli che Goethe chiamava «prediletti della natura». La chiave per comprendere le qualità dell’uomo è un’altra: in una lettera al direttore della Scuola Normale, scrisse, tre mesi prima di morire, che nella sua vita aveva adoperato sempre «un metodo nella sostanza non diverso da quello applicato a un frammento nei memorabili seminari di Giorgio Pasquali». Questa riflessione di Ciampi ci riporta alle sue «scuole», la Normale e la Banca d’Italia, il Partito d’Azione e Guido Calogero: questi gli insegnarono che la conoscenza è alla base dell’azione, come dimostrano Andrea Mariuzzo e Marco Bresciani nei loro contributi, mostrando doti di disciplina e applicazione, di capacità organizzativa non solo del proprio lavoro, ma anche di quello degli altri, e di sensibilità politica, qualità tutte rilevate nell’introduzione da Giuliano Amato.
Nel lungo percorso di Ciampi nelle istituzioni vi sono due tratti salienti, la lungimiranza e la politicità del non politico di professione, messi molto bene in luce il primo da Marco Onado, il secondo da Enzo Cheli, in quest’opera. Scrivendo della riforma bancaria, il primo ha osservato: «Ciampi fu uno dei pochi della classe dirigente dell’epoca a dimostrare di non avere il difetto della “veduta corta”, come avrebbe detto Tommaso Padoa-Schioppa. La riforma bancaria fu un raro esempio di tempismo e lungimiranza perché di fatto consentì di superare fattori di debolezza che avrebbero potuto incidere negativamente sulla capacità di crescita del Paese». A sua volta, Cheli, introducendo i contributi su Ciampi presidente della Repubblica, ha notato: «Un ruolo spiccatamente politico che il non-politico ha potuto svolgere nell’esercizio delle sue funzioni presidenziali traendo esclusivo sostegno dalla forza di una Costituzione sorretta ancora da un largo consenso popolare, nonostante i tentativi di rottura operati da un sistema politico impegnato a ricercare nuove basi per la propria declinante legittimazione. Tutto questo contribuisce anche a spiegare l’instancabile opera di “pedagogia costituzionale” che Carlo Azeglio Ciampi ha esercitato nel corso del suo mandato, in una visione di lunga durata orientata a raccordare la “patria” repubblicana alla sequenza storica che ha legato il Risorgimento alla Resistenza, la Resistenza alla Costituzione e la Costituzione all’Europa».
Ciampi, in tutti i suoi anni al servizio delle istituzioni, ha mostrato una particolare forma di intelligenza, fatta di accortezza, prudenza ed efficacia pratica, una intelligenza indispensabile nelle situazioni di incertezza, che grazie ad accorgimenti e stratagemmi fa trionfare chi sembrerebbe destinato alla sconfitta. Questa è la metis, simboleggiata da Odisseo, polymetis (dalla mente piena di accorgimenti) e polytropos (di ingegno versatile). Queste le doti di cui ha dato prova Ciampi nel suo nostos, il viaggio, fertile in avventure e in esperienze, da lui stesso così descritto nel libro del 2010, in cui illustrava tutte le sue delusioni, Non è il Paese che sognavo: «Ho servito il Paese sempre nelle istituzioni: quattro anni nell’istituzione-esercito, due anni nell’istituzione-scuola, 47 anni nell’istituzione-Banca d’Italia, poi nell’istituzione-Palazzo Chigi, il Tesoro, il Quirinale».
Se dovessi racchiudere in una formula la caratteristica di questo viaggio nelle istituzioni, direi che Ciampi è stato animato sempre dal desiderio di procedere più avanti, verso altre dimensioni, come l’Ulisse dei Quattro quartetti di T. S. Eliot: «I vecchi devono essere esploratori», e più avanti «non smetteremo di esplorare». La Normale, Pasquali, Calogero, l’avevano preparato a un lungo viaggio tra Lestrigoni e Lotofagi, tra Scilla e Cariddi, dove la sua metis si manifestò in forme diverse, perché diverse e mutevoli erano le difficoltà da affrontare.
Ogni tappa del viaggio ha prodotto risultati. Uno, forse il principale, è quello che lui stesso definì «the cathedral of the final stage of Emu», come ricordano Marco Magnani e Ignazio Visco nel loro resoconto del servizio di Ciampi in Banca d’Italia. Ciampi, evocando la cattedrale dell’Unione monetaria, ricordava forse quella espressione, bâtisseurs de cathédrales, usata per indicare gli uomini che costruirono nel Medioevo, con audacia, fantasia e padronanza della tecnica, più di un centinaio di cattedrali gotiche disseminate in Francia.
Di questo e di molto altro danno conto i due tomi, di quasi 800 pagine, che raccolgono 57 scritti di 61 autori, e si aprono a raggiera sulle tappe del lungo viaggio di Ciampi, con testimonianze, ricordi, cronache, analisi storiche, economiche, giuridiche e politologiche, quale più evocativo e appassionato, quale più distaccato, quale più celebrativo, quale più documentato. Questo vuol dire che nei due tomi ci sono sia la storia di un cinquantennio, sia un tesoro di dati per storici futuri.
I saggi si articolano in 5 parti, dedicate alla formazione di Ciampi, al suo ruolo di governatore della Banca d’Italia, all’attività da lui svolta quale presidente del Consiglio, alla sua azione quale ministro del Tesoro, e infine a Ciampi presidente della Repubblica. Nella prima parte, è illustrata l’opera di quella fucina di giovani menti che è la Normale di Pisa, ma vengono anche tratteggiati i caratteri della formazione più politica di Ciampi, specie in rapporto al Partito d’Azione. La seconda parte tratteggia il servizio di Ciampi in Banca d’Italia, la soluzione del caso Ambrosiano, la realizzazione del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, la trasformazione del sistema finanziario. Nella terza parte, quella relativa a Ciampi presidente del Consiglio, l’attenzione è portata sulla politica del lavoro, sull’avvio delle privatizzazioni, sulla riforma della pubblica amministrazione, sulla legge elettorale e sulla mancata riforma del sistema radiotelevisivo. Nella quarta parte giocano un ruolo centrale la manovra di bilancio del 1996 e l’adesione all’euro. Quella, infine, dedicata a Ciampi presidente della Repubblica contiene saggi sul patriottismo repubblicano di Ciampi, sui rapporti tra presidenza e governo, sui rapporti con la società civile, sulla politica estera e di difesa.
Nessun uomo di Stato italiano, neppure Luigi Einaudi, ha avuto, a un lustro dalla morte, un così documentato ricordo e omaggio, che costituisce anche un contributo alla storia del mezzo secolo segnato dalla sua azione. Termino con tre domande che ci riportano a oggi. Quale dei nostri più brillanti giovani sarebbe oggi capace di «segnare le mete», contemplando nell’anima l’immagine di un mondo migliore perché la mente, assuefatta dalle piccolezze della vita presente, non si restringa troppo, come ha fatto Ciampi nel corso del suo lungo viaggio di scopritore di nuovi mondi? Dove sono oggi le scuole che preparano ad andare dallo studio di Aristotele alla lettura di John M. Keynes, passando attraverso una riflessione sulla libertà delle minoranze religiose (il tema della seconda tesi di Ciampi)? E, infine, noi ce li siamo meritati uomini così, sempre pronti ad adoperarsi per il Paese, mentre i partiti si disgregavano o l’Italia correva il rischio di non riuscire a restare nell’Unione?