Il Messaggero, 30 ottobre 2021
Agonia di 21 minuti per il condannato a morte Usa
Il corpo scosso dalle convulsioni per ventuno minuti, il vomito che continuava a imbrattargli la faccia nonostante i tentativi dei secondini di ripulirla. Così è finita mercoledì scorso la vita di John Grant in una cella della morte di un carcere dell’Oklahoma. I testimoni oculari ammessi ad assistere all’esecuzione capitale hanno contato almeno due dozzine di conati, mentre la prima delle tre droghe amministrate cercava di narcotizzare il condannato e renderlo insensibile alle successive iniezioni. Più che di amministrazione della giustizia è giusto parlare di tortura, e l’opinione pubblica statunitense è unita nell’orrore di fronte al racconto.
GLI INCIDENTI
Lo stato del sud degli Usa è storicamente tra i più solerti nell’applicare la pena di morte, ma negli ultimi sedici anni aveva dovuto sospendere la pratica in seguito ad un paio di imbarazzanti incidenti di percorso. Nell’aprile del 2014 il condannato Clayton Lockett aveva sofferto per 43 minuti sul lettino al quale era legato, sempre durante la somministrazione del primo medicinale: il Midazolan, che avrebbe dovuto fargli perdere la conoscenza. L’anno dopo l’esecuzione di un altro carcerato, Richard Glossip, era stata fermata poche ore prima di essere consumata, quando le autorità carcerarie si erano rese conto di aver ricevuto una medicina sbagliata tra le tre che compongono il cocktail letale. Le polemiche che avevano fatto seguito ai due incidenti avevano forzato una pausa di riflessione, e una moratoria di fatto che è durata fino a ieri. Gli stati forcaioli degli Usa fanno fatica ad amministrare la morte indolore prescritta dalle leggi, da quando le case farmaceutiche europee che producono il Pentotal si sono rifiutate di venderlo oltreoceano dove veniva usato nelle camere della morte. Il ministero di giustizia dell’Oklahoma aveva persino valutato l’ipotesi di usare azoto per causare la morte dei condannati; poi sono arrivati in mercato i sostituti autarchici che hanno permesso la ripresa delle esecuzioni, nonostante i ripetuti problemi che stanno causando durante la somministrazione. Grant ha sempre riconosciuto la sua colpevolezza per i crimini che l’avevano portato sulla soglia della linea verde, l’ultima passeggiata che conduce un condannato alla camera della morte. Era in prigione con una condanna a 130 anni di reclusione per una serie di rapine nel 1999 quando sequestrò la guardia carceraria Gay Carter, la trascinò nello sgabuzzino delle pulizie, e la uccise con sedici pugnalate di un coltello che aveva fabbricato con le sue mani.
ESECUZIONE SOSPESA
Il suo difensore sostenne che si trattava di un omicidio passionale, ma il giudice non concesse attenuati e lo condannò alla pena di morte. L’esecuzione è stata sospesa per anni mentre lo stato dell’Oklahoma si attrezzava per riprendere la pratica con maggiori margini di sicurezza. Grant insieme ad altri condannati aveva eccepito in tribunale la mancanza di umanità della pratica dei tre veleni, ma tutte le istanze sono state rigettate, e così si è giunti alla tragica scena di mercoledì. I testimoni ammessi nella sala hanno potuto udire la voce del condannato prima che si sollevasse la tenda che copre il vetro della stanza: Grant urlava: «Lets go, Lets go!» (andiamo, sbrighiamoci) mischiate a volgari imprecazioni contro il suo boia prima che il suo corpo iniziasse a contrarsi negli spasimi. Poi ha ceduto all’effetto del paralizzante, e infine al cloruro di potassio che ha fermato i battiti del suo cuore.