ItaliaOggi, 30 ottobre 2021
Orsi & tori
In una dichiarazione scritta, il portavoce di Facebook Andy Stone ha dichiarato: «Ogni giorno i nostri team devono bilanciare la protezione del diritto di miliardi di persone di esprimersi apertamente con la necessità di mantenere la nostra piattaforma come un luogo sicuro e positivo. Continuiamo ad apportare miglioramenti significativi per contrastare la diffusione della disinformazione e dei contenuti dannosi. Sostenere che incoraggiamo contenuti scadenti, non facendo nulla per migliorare, è semplicemente falso».
È la risposta alle rivelazione di Frances Haugen, ex product manager assunta per proteggere gli utenti di Facebook dalle interferenze elettorali, che, sentendosi frustrata dalla mancanza di impegno da parte dell’azienda su questo tema fondamentale per le democrazie, martedì 6 ottobre, dopo averne fatto anticipazioni al The Wall Street Journal, ha testimoniato le malefatte di Facebook davanti al Congresso degli Stati Uniti e poi davanti alla Commissione media del Parlamento britannico. Ecco soltanto alcune delle deviazioni:
1) «Facebook contribuisce ad aggravare l’odio nella nostra società, perché i suoi algoritmi danno la priorità ai contenuti estremi e il profitto viene prima di tutto».
2) «Zuckerberg sapeva del disagio di alcuni ragazzini a causa dell’uso smodato dell’app Instagram: gli stessi operatori interni di Facebook paragonano l’uso esasperato di Instagram dei teenager alle astinenze di un drogato».
3) «Non sono state controllate le minacce circolate nei post su Facebook in paesi afflitti da uccisioni seriali, stragi su basi etnica, e in alcuni casi da tentativi di genocidio come Myanmar».
A due settimane di distanza, la Cina ha approvato una legge sulla promozione dell’educazione familiare per ridurre i carichi di lavoro eccessivi dei giovani studenti. La legge è stata approvata dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo ed è stata promulgata dal presidente Xi Jinping perché i genitori non stressino i figli, facendoli studiare troppo nella speranza che eccellano, mentre è bene che i ragazzi abbiano tempo libero per lo sport, per i giochi (non digitali), in modo da non perdere la leggerezza che i giovani devono avere.
In apparenza sono due notizie scollegate, ma in realtà affrontano lo stesso tema: cioè come i cittadini fin da ragazzi devono essere protetti dall’eccesso di tecnologia con il rischio per la Cina di avere degli adulti deformati da troppo impegno e per Usa e il mondo intero, di avere cittadini utenti di Facebook con il cervello e il comportamento deformato da notizie false, capaci di incidere sul processo democratico e non solo, essendo in ballo anche la privacy di ognuno dei dichiarati 3 miliardi di utenti del super social. In realtà, una delle rivelazioni fatte al Congresso dalla Haugen è che gli utenti per fortuna non sono 3 miliardi di persone fisiche, perché è quasi ordinario che ogni utente abbia due o tre account.
Riuscirà da una parte l’amministrazione americana guidata dall’attempato presidente Joe Biden a salvare gli americani e i cittadini del mondo occidentale dai guasti provocati dall’eccessivo potere dei cosiddetti Ott, di cui Facebook è con Google il maggiore alfiere, e dall’altra riuscirà la Cina oggi vincente nel progresso tecnologico (in O&T della scorsa settimana ho riportato le rivelazioni al riguardo del Chief software office del Pentagono) a preservare l’integrità del suo miliardo e 400 milioni di cittadini?
Non vi è dubbio che mentre in Italia si manifestano le bassezze umane e ideologiche contro il green pass dei no vax, il mondo ha davanti sfide mai viste prima. In gioco certo è la sopravvivenza del pianeta, di cui si parla ormai sempre più intensamente, anche con il vertice di Glasgow, ma in gioco è soprattutto il futuro dell’essere umano, della sua natura, della sua evoluzione in miglioramento, come dimostrano lo scandalo Facebook e la necessità della Cina di varare una legge per imporre ai genitori, assetati di affermazione dei figli, di non far perdere ai propri bambini la gioia della gioventù.
Di fronte a questi allarmi, le vicende economiche e finanziarie, il profitto, la crescita economica, dovrebbero contare di meno; invece, contano e sempre di più perché senza crescita economica non si può finanziare né la sostenibilità con l’intervento sul clima né un’equilibrata relazione fra bambini, giovani e anziani.
«Crescita» è la parola d’ordine lanciata nelle ultime ore dal presidente Mario Draghi nella conferenza di presentazione della legge di bilancio. Senza una crescita forte non riequilibreremo il rapporto pil/debito almeno ai livelli pre-Covid, ha spiegato Draghi.
Il presidente del consiglio si è dimenticato di quanto scrisse sul Financial Times alle prime evidenze del Covid e del lockdown?
In poche parole, allora, lontano dal governo, scrisse che non si dovevano avere limiti all’immissione di liquidità nel sistema, perché senza liquidità ci sarebbero state gravissime conseguenze sociali, aggiungendo, che comunque i debiti che gli stati contraevano erano da considerare quasi come debiti di guerra, senza tuttavia dire esplicitamente che la maggioranza dei debiti di guerra non sono stati pagati, ma in genere in buona parte abbonati. La Germania, che causò i disastri delle persecuzioni razziali e quelli della Seconda guerra mondiale si era vista abbonare, nel 1953 alla conferenza di Londra, il 50% dei debiti di guerra, mentre un’altra indulgenza ci fu nel 1990 al momento della riunificazione delle due Germanie: in quel momento la grande Germania avrebbe dovuto pagare il rimanente 50% ma Helmut Kohl ottenne sconti, per esempio con la rinuncia a incassare i crediti da parte di Italia e Grecia.
La situazione attuale è diversa, perché i debiti degli stati della Ue si sono formati essenzialmente verso la Bce, cioè la banca centrale di tutti i paesi che hanno adottato l’euro. Quindi non ci sono paesi creditori, ma in ogni caso c’è da tenere conto del Fiscal compact, il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nella Ue. Riguardo al rapporto debito/pil, il trattato ha fissato al 60% l’entità del debito. Ovviamente per il Covid questo rapporto è stato sospeso ed è tuttora sospeso, ma i rigoristi tedeschi hanno già cominciato a richiamare l’obbligo del 60%. Non ci riusciranno, ma sicuramente un limite ci sarà e poiché il rapporto per l’Italia è oggi superiore al 140%, Draghi ha suonato il campanello d’allarme. Il rapporto fra il pil e il debito si aggiusta in autonomia solo con lo sviluppo.
Per questo Draghi ha scelto la nuova linea e ha cominciato a imbullonare ciò che sta sotto il debito, cioè la necessità di un salto di efficienza quasi drammatico che il paese deve compiere. Si intuisce che Draghi stimi non sufficiente la scelta appena approvata con la legge di bilancio di dedicare quasi 40 miliardi di euro a riduzioni fiscali per favorire gli investimenti che possono generare sviluppo.
A Bruxelles il commissario all’economia, Paolo Gentiloni, manifesta ottimismo per la possibilità di rimodulare quel 60% del Fiscal Compact, ma l’Italia con oltre il 140% sarà comunque lontana dagli obbiettivi che verranno fissati e quindi sempre sul filo del rischio di sanzioni.
È per questo che nel presentare giovedì 28 la legge di Bilancio, Draghi è stato secco. Se lo sviluppo italiano si dovesse affievolire, potrebbero nascere problemi per il paese. Per questo il governo sembra giocare su due tasti: da una parte ridurre la pressione del fisco e dall’altro contenere l’esplosione dei costi delle pensioni. Ma se appena da Bruxelles arrivasse la notizia che l’Italia viene considerata fuori linea, pur certamente in buona compagnia, sarebbe necessario prendere provvedimenti drastici.
Quindi spingere il più possibile sulla ripresa, ma avere anche carte di riserva.
In tal senso sarà bene che il governo Draghi tenga conto di alcuni fattori chiave e per fortuna positivi:
1) la grandissima capacità delle imprese italiane di esportare, tenuto anche conto che nel corso di questi mesi del 2021 sono stati battuti tutti i record;
2) mobilitare l’enorme risparmio giacente sui conti correnti delle banche.
Per mobilitare il risparmio silente a favore dello sviluppo non c’è altro mezzo che favorire l’investimento in aziende italiane pmi, mediamente tutte sottocapitalizzate. Come? Favorendo la quotazione all’ex-Aim, ora Emg-Euronext growth market, dove in 10 anni si sono quotate più di 150 società, anche se con un chiaro segno di leggera accelerazione negli ultimi mesi. A funzionare in questo caso è stato il Covid, che ha reso più impellente la raccolta di capitali.
Finora si è pensato che il modo di far sì che l’ex Aim accogliesse non centinaia ma migliaia di pmi, come è avvenuto all’equivalente mercato di Londra e Parigi, fossero i Pir, cioè i Piani individuali di risparmio. Sì, hanno prodotto qualcosa ma il loro effetto è scarsissimo in direzione delle pmi.
I Pir contribuiscono, ma non sono decisivi. Decisivi possono essere due provvedimenti fiscali, più una iniziativa strategica per rendere liquido il mercato. In primo luogo, un provvedimento fiscale robusto a favore di chi si quota e invece dal testo della legge di bilancio è addirittura scomparso il bonus quotazione; e un altro provvedimento diretto , di beneficio fiscale, a favore di chi sottoscrive quote di pmi che si quotano.
Ciò perché, pur con i vantaggi che offrono, i Pir sono un surrogato di piccoli fondi di investimento e di fronte a un prodotto del genere sia i gestori, anzi soprattutto i gestori, sia i risparmiatori, preferiscono dirigersi verso i fondi di investimento veri, inevitabilmente contenenti titoli esteri, in considerazione del modesto catino che rappresenta la borsa italiana.
Sì, è vero, il paese sta ancora pagando gli anni in cui la politica ha affidato di fatto il governo della Borsa a Enrico Cuccia e Mediobanca che, allora come unica banca d’affari del paese, ha favorito solo i grandi gruppi familiari. La svolta è avvenuta con l’introduzione dei fondi comuni di investimento negli anni 80, ma il risparmio raccolto non poteva essere investito altro che nelle borse internazionali, vista la limitatezza di quello italiano.
Quindi, Signor Presidente del Consiglio, occorre una sua focalizzazione sul tema. Giustissimo che si debba puntare tutto sullo sviluppo per riequilibrare il rapporto debito/pil, anche se in realtà il governo potrebbe riprendere in considerazione la vecchia proposta di questo giornale supportata da molti esperti a cominciare dal professor Paolo Savona di tagliare il debito anche mobilitando il patrimonio dello stato.
E se si focalizza sul tema, Signor Presidente del Consiglio, Le apparirà di tutta evidenza che la leva principe da usare, perché in questo caso moltiplicatore della crescita, è il fisco. In primo luogo, reintroducendo il bonus quotazione, anche se la parola bonus è abusata; in secondo luogo, studiando un provvedimento sempre fiscale che mobiliti il risparmio in letargo sui conti delle banche, facendolo affluire verso migliaia di pmi quotande. Ma esiste un’altra necessità imprescindibile perché ciò avvenga: aiutare per qualche anno l’ex-Aim a diventare liquido: è da tempo che operatori, giornali come questo, economisti, banchieri auspicano che sia Cdp, il braccio finanziario armato dello stato, visto che opera raccogliendo l’enorme risparmio postale, a costituire un fondo di alcuni miliardi per rendere liquido, con interventi sapienti, l’ex- Aim. Il filo del presidente Draghi con Cdp ora è direttissimo, visto che a capo come amministratore delegato il presidente del consiglio ha posto Dario Scannapieco, il più operativo dei Draghi boys ai tempi della direzione generale del tesoro impegnata nelle privatizzazioni.
Non è possibile, ad avviso di questo giornale, che ci possa essere un forte e duraturo sviluppo dell’Italia senza mobilitare 1.700 miliardi di risparmio, uno dei due asset più forti dell’Italia insieme alla capacità di esportare. Coniugando i due asset, allora, forse, Signor Presidente, si potrebbe anche evitare il Tagliadebito, perché la crescita potrebbe essere davvero forte.