Tuttolibri, 30 ottobre 2021
Vita, pensiero e stranezze di Bill Murray
Quando Little Miss Sunshine, il film che raccontava una storia sospesa tra i concorsi di bellezza nella provincia americana e una famiglia decisamente disfunzionale, ottenne a sorpresa ben quattro nomination per il premio Oscar, furono in molti a Hollywood a rimpiangere di non aver voluto prendere parte al film. Molti, ma non tutti: di certo Bill Murray, per il quale era stata scritta la parte poi toccata ad Alan Arkin che si portò a casa l’ambita statuetta, non ha manifestato nessun rimpianto. In fin dei conti lui il film non lo aveva rifiutato perché non gli piaceva ma per pigrizia. Era stanco, aveva lavorato troppo, aveva deciso di prendersi una pausa: non fu una scelta, fu l’effetto di una pigrizia innata.
Il ritratto che Gavin Edwards, firma storica della rivista Rolling Stone, compie dell’attore in L’arte di essere Bill Murray, è un ritratto al tempo stesso ironico e spietato di uno degli uomini di cinema più amati, più misteriosi e più controversi della nuova Hollywood. Bill Murray è infatti stato capace di tutto e del contrario di tutto. Nel 1982 è diventato quasi di punto in bianco una star mondiale grazie al successo di Ghostbusters, ma subito dopo non ha voluto sfruttare la fama acquisita preferendo trascorrere un lungo periodo a Parigi, guardando alla Cinémathéque Française ogni giorno un film senza i sottotitoli inglesi, mangiando in una cioccolateria e portandosi in tasca sempre delle tavolette di cioccolato («offrirne un pezzo agli sconosciuti è il modo migliore per conoscere persone nuove»). Ha più volte dichiarato di essere un nemico giurato del metodo Strasberg, il guru dell’Actor’s Studio che ha fortemente influenzato Hollywood, ma ha rilevato nello spettacolo televisivo National Lampoon’s la parte che storicamente avevano John Belushi e Dan Aykroyd quando i due si erano allontanati dal piccolo schermo per girare con John Landis The Blues Brothers che sarà il loro più grande successo. Da giovane faceva ridere tutti i familiari ma anche morire di vergogna la sorella che voleva farsi suora ma che fu distolta da una pantomima messa in piedi lì per lì dal giovanissimo e laico fratello che voleva a tutti costi evitare che ciò accadesse. E quando nel 2004 ottiene il Golden Globe per la sua magistrale interpretazione in Lost In Translation di Sofia Coppola, il suo discorso di ringraziamento fu incentrato sul licenziamento dei suoi agenti e sul fatto che il suo istruttore di ginnastica si era appena suicidato.